di ANDREA FILLORAMO
Rispondo a un’email inviatami da una lettrice di ImgPress, che si conclude con questa domanda: “perché Dio tace di fronte alla grande disgrazia di un virus che sta rovinando la nostra vita?” ( f….@hotmail.it )
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Cara lettrice,
rispondo come so rispondere senza pretendere di essere convincente.
Nel testo biblico esistono molti racconti che mostrano, in diverse circostanze e decisioni, “il silenzio di Dio”.
L’uomo nei momenti di sofferenza e di disperazione chiede l’intervento divino per poter trovare la soluzione al dolore ed ecco alcune domande che si rivolgono a Dio:
Perché la sofferenza, particolarmente quella degli innocenti?
Perché lo sterminio di 6 milioni di ebrei vittime del genocidio nazista?
Perché le guerre?
Perché la fame nel mondo?
Perché determinate malattie che straziano corpo e anima?
Perché il “coronavirus” che improvvisamente ci sta assalendo seminando morte e miseria, che ha già stravolto e sta cancellando la nostra storia?
E potremo continuare quasi all’infinito.
Dinnanzi a queste domande Dio non risponde. Dio rimane in silenzio.
La risposta rimarrebbe un mistero se non ci venisse incontro la testimonianza di Gesù, alla quale il cristiano fa riferimento e non solo in questa tristissima Settimana Santa.
Nella preghiera del Getsemani (Mc. 14:32-36), Gesù, infatti, esprime la parte più intima di se stesso e manifesta i suoi sentimenti più profondi, che si traducono in angoscia e tristezza mortale. Egli chiede al Padre di allontanare da lui quel calice di ineguagliabile sofferenza e non riceve risposta. Per questo, poco più tardi, inchiodato in croce griderà: «Elì, Elì, lamà sabactàni?», cioè: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mt. 27:46). Il perché di Cristo che esprimeva tutta intera la sua umanità, esprimeva ad un tempo quanto fa parte della nostra finitudine.
Niente di più penoso che rendersi conto della nostra finitudine e del fatto che i sentieri, le strade e le opzioni che ci rappresentano, vengono ingoiate dal silenzio di Dio.
Il silenzio è parte costitutiva di Dio, il quale non ci spiega tutte le cose. Non possiamo neppure conoscere il divino nella sua pienezza, perché non rende conto di tutto ciò che accade nella storia. Si presenta sempre come paradosso. Non siamo onnipotenti e solo da questa prospettiva possiamo comprendere il tema del silenzio di Dio: esso non si manifesta solo in momenti di sofferenza, ma è qualcosa di costitutivo dell’essere… Il silenzio implica il riconoscere che non sappiamo tutto e perciò non abbiamo il controllo sulle cose che accadono. Dio è logos (parola), ma perché ci sia logos, prima c’è stato kenosis (svuotamento di Dio – Fil. 2:7). La kenosis crea nuove rivelazioni. Prima di tutto, in questo incontro paradossale con il divino nella finitudine della storia, ci permette di “dargli parole”, come nell’incontro dei discepoli di Giovanni il Battista con Gesù che gli chiesero: “Sei tu quello che stiamo aspettando?”, al che Gesù risponde: “guardate e raccontate” (Mt. 11:1-6). Gesù avrebbe potuto rispondere direttamente, ma decise di non farlo e di lasciar testimoniare gli stessi discepoli. Il silenzio permette di conoscere Dio e in questa testimonianza del divino, testimoniamo a noi stessi che Dio c’è. Questo significa che il silenzio è equivalente al mistero. La dimensione del divino, lungi dal renderlo un ente astratto e lontano, apre la porta affinché, da questo silenzio inerente alla pienezza del suo Essere, possiamo conoscerlo nelle forme più inaspettate. Come disse magnificamente Madre Teresa: “Non possiamo trovare Dio in mezzo al rumore e all’agitazione. La natura, gli alberi, i fiori e l’erba crescono in silenzio; le stelle, la luna e il sole si muovono in silenzio… E’ necessario il silenzio del cuore per poter ascoltare Dio in ogni cosa, nella porta che si chiude, nella persona che ha bisogno di noi, negli uccelli che cantano, nei fiori, negli animali.”
Le parole di Madre Teresa di Calcutta diventino gli auspici per tutti noi. Buona Pasqua!