D’obbligo alcuni punti fermi sulla guerra in Ucraina: Nessuno si vuole girare dall’altra parte di fronte all’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina. Certamente non siamo per la follia dell’armiamoci e partite. Intanto con la fornitura di ordigni letali all’Ucraina siamo di fatto entrati in conflitto con la Russia.
Siamo passati da una situazione di neutralità a una fase di cobelligeranza. Ma noi non combattiamo: lo facciamo fare a donne e ragazzini contro un esercito potente. Sarà un massacro che dobbiamo assolutamente scongiurare, come trattando, per evitare una inutile strage. Non dobbiamo mandare gli ucraini a morire, dicendo loro che siamo pronti ad aiutarli. Nel Blog de Il Fatto quotidiano Marco Politi dà spazio alla tesi diplomatiche del Vaticano (Ucraina, il Vaticano insiste: la pace si raggiunge tutelando gli interessi di Kiev e di Mosca, 1.3.22, Blog Il Fatto quotidiano).
Papa Francesco domenica ha dichiarato: “Chi fa la guerra mette davanti a tutto interessi di parte e di potere. Si distanzia dalla gente comune, che vuole la pace”. Parole durissime. Il Mercoledì delle Ceneri sarà una “giornata per stare vicino alle sofferenze del popolo ucraino… e implorare da Dio la fine della guerra”. Non si tratta di una implorazione generica secondo Politi, ma Il Vaticano preme per trattative vere. E chiede che Putin si fermi, come il pontefice ha chiesto durante il suo incontro con l’ambasciatore russo Avdeev.
In una situazione che dopo l’aggressione di Putin rischia di avvitarsi in uno scontro senza fine, dai costi incalcolabili, il Vaticano di papa Francesco preme perché si imbocchi la via della razionalità e della valutazione complessiva degli interessi di tutte le parti. E’ una posizione difficile, mentre i protagonisti del conflitto dipingono l’evento come uno scontro fra angeli e demoni. Ma è l’unica posizione – ritiene la Santa Sede – che permetta una via d’uscita dalla situazione senza procurare infinite sofferenze. Non ha senso restare prigionieri di slogan, che raffigurano una guerra fra democrazie e autocrazie: “una visione ideologica”, ha commentato seccamente Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes.
Preoccupa la Santa Sede la militarizzazione del pensiero quale trend prevalente nei mass media, dove si tende a etichettare ogni diversa valutazione come “filo-Putin”. E invece il cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, il collaboratore più stretto di papa Francesco, ha sottolineato da subito in un comunicato ufficiale la necessità di un atteggiamento di “saggezza che tuteli le legittime aspirazioni di ognuno”. Di Kiev, di Mosca e dell’Europa.
La Santa Sede è chiara, occorre evitare una drammatica escalation del conflitto soltanto attraverso una seria comprensione delle ragioni altrui. La sordità reciproca alimenta il conflitto. “Le aspirazioni di ogni paese e la loro legittimità devono essere oggetto di una riflessione comune, in un contesto più ampio”, insiste il cardinale Parolin. Già il 23 febbraio sull’Osservatore Romano una nota di Andrea Tornielli ricordava che nel 2008 Francia e Germania si opposero all’inclusione dell’Ucraina nella Nato perché “avrebbe rappresentato un atto ostile verso la Russia”. Si chiedeva l’Osservatore Romano se una soluzione pacifica va ricercata “dentro gli schemi bellici delle alleanze militari”, che si espandono e si restringono, oppure lavorando per una diversa architettura di convivenza.
Quelli della Santa Sede sono richiami scomodi, come lo furono nel 1917 di Benedetto XV per scongiurare la Prima Guerra mondiale.
“In Vaticano – scrive Politi – sanno che la Nato da tempo non è più una mera organizzazione difensiva come quando nacque per fronteggiare l’Unione sovietica. La Nato ha attaccato la Serbia nel 1999 al di fuori di qualsiasi compito statutario, ha svolto missioni di supporto alla presenza degli Stati Uniti in Afghanistan e in Iraq […] Insomma la Nato è un blocco militare-politico ben attivo sulla scena mondiale. Sembra persino ridicolo ricordarlo. Ecco perché la Santa Sede ritiene che non ci sia spazio per atteggiamenti fintamente ingenui”.
Gli Stati Uniti non hanno mai permesso che ai loro confini venissero collocate basi militari di potenze avverse. La crisi di Cuba del 1962 è lì a testimoniarlo. La controprova si ebbe nel 1983 allorché il presidente Reagan ordinò l’attacco contro la piccola isola caraibica di Grenada (dove aveva preso il potere una fazione ultra-comunista) per il solo fatto che la costruzione di un aeroporto sarebbe potuta servire a forze nemiche degli Stati Uniti.
Quando il Vaticano chiede pace “adesso” è anche perché suscita allarme lo scivolamento politico e psicologico di massa verso uno stato di “guerra totale”. Parlare di “mettere in ginocchio la Russia”, come sostiene il segretario del Pd Letta, o annunciare “provocheremo il collasso dell’economia russa” (ministro francese Le Maire) significa lanciarsi in un’avventura cieca senza curarsi dei contraccolpi planetari.
L’intervento di Politi finisce con una interessante citazione di Henry Kissinger, fatta nel 2014, campione della realpolitik statunitense: “Se l’Ucraina vuole sopravvivere e prosperare, non deve essere l’avamposto di nessuna delle due parti contro l’altra”. Né della Russia né dell’Occidente. Frasi che potrebbero essere state scritte ieri mattina. Essere una nazione non allineata non è un disvalore.
DOMENICO BONVEGNA
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