LA MALATTIA DELLA CHIESA MESSINESE: ho scritto tanto della diocesi messinese servendomi delle informazioni pervenutemi da tanti preti, che non trovando spazio nei canali ufficiali hanno colto l’opportunità da me offerta, per far sentire la loro voce…
di ANDREA FILLORAMO
Ho scritto tanto della diocesi messinese servendomi delle informazioni pervenutemi da tanti preti, che non trovando spazio nei canali ufficiali hanno colto l’opportunità da me offerta, per far sentire la loro voce, talvolta allarmata, ma molto spesso accompagnata dal “lassez faire et lassez passer”, che, in ultima analisi, si impongono coloro che, trovandosi in particolari situazioni o temendo ritorsioni, ritengono che l’unica arma per combattere ogni tipo di malessere delle persone o delle istituzioni, sia l’osservanza del silenzio, anche se accompagnato dal chiacchiericcio di cui non possono fare a meno.
Ovviamente ho evitato ogni scandalismo e ho utilizzato molti “filtri” prima di informare quanti sono interessati al cambiamento della Chiesa in generale e di quella peloritana in particolare. Mai ho scritto un “pezzo” che non sia stato prima letto da persone sagge e prudenti di cui tutti ci possiamo fidare. Il mio impegno continua ancora, anche se, noto che, con l’avvento del nuovo arcivescovo, le lamentele e forse anche il disagio esistenziale e vocazionale dei preti, è diminuito e non di poco.
Ma è ovvio che mi ponga ancora la domanda se la Chiesa messinese ha superato la crisi che si è resa evidente durante l’episcopato di La Piana. A tal proposito ho recuperato un articolo del professor Citto Saya in www.noisiamochiesa.org e già pubblicato su “Il Nuovo Soldo” del 19/10/2016, si cui allego uno “stralcio”.
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Da “ Il Nuovo Soldo” del 19/10/2016
QUALE E’ LA MALATTIA DELLA CHIESA MESSINESE
La Chiesa messinese, e non da poco tempo, è certamente una Chiesa malata e forse gravemente malata. Anche la Chiesa cattolica, come realtà umana, è espressione del malessere che opprime da anni la città e la provincia. La nuova prassi teologica e pastorale che papa Francesco, tra tante difficoltà intraecclesiali, cerca di praticare, a Messina sembra non trovare adepti. Un laicato profondamente clericalizzato (almeno quello che frequenta i sacri palazzi) non riesce ad esprimersi autonomamente e con libertà e tanti cattolici (anche sacerdoti) che in privato esprimono critiche e “mormorazioni” sulla situazione della Chiesa cattolica messinese, colpevolmente tacciono, avallando quella assurda mentalità che la Chiesa è del vescovo e dei preti. Penso con nostalgia alla Chiesa viva (e anche conflittuale) dei tempi di quello che mi piace definire il “più pastorale” vescovo della nostra Chiesa dei tempi moderni, il compianto arcivescovo padre Francesco Fasola che, come papa Francesco, guardava alle periferie territoriali e esistenziali e certamente non amava il mondano titolo di “eccellenza”. Sarebbe stato certamente opportuno, alla luce della nuova ecclesiologia di papa Francesco, riunire, (…) nelle tre chiese cattedrali, il Popolo di Dio per discutere assieme i problemi della Chiesa malata. Sarebbe stato e sarebbe anche un segnale positivo della volontà di rinnovamento se gruppi di laici e di sacerdoti e religiosi si incontrassero per almeno chiedersi quali sono i mali di questa Chiesa. Invece vi è una cappa mefitica di silenzio (…) che rende tragico e triste il paesaggio ecclesiale messinese. Pullulano a Messina e dintorni gruppi fondamentalisti (anche cattolici), movimenti “ecclesiali” di tipo settario e non inclusivi, investiture (promosse da preti o religiosi) di variegati (sacri) ordini cavallereschi, preti bardati di rosso, “Misericordie” che si occupano di protezione civile che sarebbe competenza delle pubbliche istituzioni. Ho visto recentemente una giovane ragazza, certamente motivata, templare”. La vanagloria umana ha resuscitato perfino i “cavalieri del tempio”: un ordine di “monaci” guerrieri da secoli non più esistente. Nel territorio dell’archidiocesi, in assenza di una vera guida pastorale adeguata ai tempi, nascono nuove “devozioni” che nulla hanno a che fare con l’autentica religiosità popolare, apprezzata da papa Francesco. La religiosità popolare, essenzialmente laica, è cosa diversa dal “devozionismo” di matrice prettamente clericale ed etero diretto. Ed ecco allora risorgere una forma di spiritualità arcaica legata al culto sproporzionato (pur legittimo) delle reliquie. A Messina si nota, negli ultimi tempi, un gran via vai di reliquie. Recentemente sono arrivate le reliquie di S. Teresa del Bambino Gesù e, nella parrocchia Portosalvo di Barcellona, sono addirittura arrivati i “capelli” e qualche frammento dello “zucchetto papale” di S. Giovanni Paolo II e ancora, a Messina, un reliquiario della santa polacca Faustina Kowalska. Le cerimonie, con la partecipazione dei nuovi devoti che sono curiosi di vedere ossa, capelli e indumenti insanguinati, avvengono spesso alla presenza di cardinali e vescovi emeriti, usati quasi come sopramobili, e che invece, avendo più tempo, potrebbero dedicarsi, nei territori in cui vivono, a dare una mano nelle parrocchie e nelle attività pastorali. Naturalmente nessuno pensa ad alimentare, ad esempio, il culto di S. Giovanni XXIII. Sarebbe un fatto innovativo e un giubbotto militaresco con la scritta “Militia Christi-ordine” dei tem conciliare, mentre il “polacchismo” serve a restaurare teologie e spiritualità arcaiche e conservatrici. Intanto a Messina si attende il nuovo arcivescovo, sperando che sia direttamente il papa a nominarlo. La Chiesa messinese ha bisogno di un bravo “medico” perché il virus è molto resistente, è vivo e vegeto da tanto tempo e la medicina, a mio modesto avviso, dovrebbe essere una Chiesa sinodale e autenticamente partecipata.