Sembrerebbe che la pandemia abbia aumentato con effetti negativi negli utenti il tempo trascorso sul web e sui social media. Tuttavia, la diffusione del Covid 19 ha rappresentato un momento forte per riflettere e rispondere alle domande sul senso della vita. Su questo tema si è intrattenuto in un interessante servizio Aurelio Carloni, sull’ultimo numero della rivista Cristianità (“L’apostolato al tempo dei ‘social’, n. 409, maggio-giugno 2021).
Oggi effettivamente la nostra attenzione a causa dei mezzi digitali è soggetta a un “sovraccarico affettivo”, che non è più quello descritto dal “filosofo contadino”, Gustave Thibon, nel suo Saggio di fisiologia sociale, Diagnosi. Di fronte alla crescita degli stimoli esterni, la soglia di attenzione su qualunque tema trattato, si è abbassata in maniera straordinaria.
Questa situazione secondo Carloni ha generato due conseguenze: la 1, un abbassamento dell’attenzione e quindi, “la necessità di una comunicazione sempre più veloce e sintetica, accompagnata da titoli e da immagini ‘forti’”. Così facendo si cerca di catturare l’attenzione della gente distratta, frastornata, dall’assordante rumore di fondo. La 2 conseguenza ha generato, “l’impoverimento del linguaggio, quindi del pensiero e, infine, dei rapporti umani”. L’articolo si occupa proprio di questo aspetto.
Carloni nell’uso indefinito dei social, individua uno “sbriciolamento del tempo” e una “frantumazione del reale”. Un aspetto che aveva ben colto il filosofo Giovanni Reale. Il tempo viene ridotto al presente, anzi al momentaneo. Pertanto, il tempo ha perso la sua unità e non è più collegato con il passato e il futuro. “Tutto è diventato un interrotto e caotico fluire di stimoli che distraggono e impediscono di riflettere”.
E come aveva scritto nel 1978, nel celebre discorso all’università di Harvard Aleksandr Solzenicyn, nel mondo moderno, tutto è frantumato.
In certe regioni italiane, fino agli anni ’50, mentre si lavorava “si lanciava un occhio al figlio (…)”, oggi non è più così, qualsiasi cosa si sta facendo, “la mano corre veloce al cellulare al suo primo vibrare”. Bisogna dare una risposta immediata per non uscire dal “lop della chat”. In pratica, l’essere collegati in continuazione, ci fa credere di saperne di più rispetto a chi ci ha preceduti. “In realtà si galleggia sul rumore. Ci si ferma ai titoli e si finisce con il sapere nulla di tutto”.
Per Carloni si tratta di un “rumore infernale”, che costringe gli uomini e le donne di oggi a rifugiarsi “in luoghi sicuri simili alle grotte usate nell’era paleolitica dell’umanità (…)”. Sono le cosiddette “echo chamber”, in cui si ascolta unicamente l’eco delle opinioni proprie e di chi la pensa come noi”.
Sostanzialmente questa società è caratterizzata dal rifiuto del silenzio, probabilmente per sfuggire alle domande di senso della vita a cui non è in grado di rispondere. Viviamo in “una società che corre veloce, che non dorme mai, che non è mai in silenzio perché ne ha paura”.
Fa bene Carloni a citare il bellissimo libro del cardinale Robert Sarah, “La forza del silenzio. Contro la dittatura del rumore”, pubblicato da Cantagalli nel 2017. Il cardinale, nella splendida conversazione con Nicolas Diat, indicava che sono pochi quelli che accettano di confrontarsi con Dio nel silenzio. Pertanto, “Uccidendo il silenzio, l’uomo uccide Dio”.
La modernità congiura contro la contemplazione, del reale, del creato e quindi del Creatore. Lo aveva colto bene lo scrittore francese, Georges Bernanos: la modernità, “è una congiura universale contro qualsiasi specie di vita interiore”.
Siamo contagiati dall’informazione digitale, sino a diventare “tuttologi”. Ha ragione Paola Mastrocola, quando sostiene che nei vari dibattiti televisivi, difficilmente si trova un partecipante, ad ammettere di non saper rispondere ad una domanda, di non conoscere l’argomento e quindi ha bisogno di studiarlo. Non solo, oggi non si osserva più la realtà per quello che è, ma per come la si immagina che sia. Spesso la Verità viene negata, le varie fonti accreditate non sono quelle autorevoli, ma di persone celebri, uomini e donne di spettacolo.
Aveva ragione il filosofo Emanuele Samek Lodovici quando alla fine degli anni ’70, individuava uno spropositato “culto dell’opinione”. Qualsiasi persona ha diritto di esporre quello che pensa. In questo modo “si finisce per seguire specularmente i rumori del giorno amputandosi dal passato, dai ricordi significativi sia personali sia sociali; e un uomo separato dal suo passato, un uomo che non ha più ricordi, è la preda più facile ed ambita da ogni totalitarismo”.
In questo quadro si pone in generale, l’azione del cattolico di oggi, in particolare, del militante di Alleanza Cattolica, che ha la vocazione specifica di svolgere un apostolato culturale nel pre-politico. Il fondatore dell’associazione Giovanni Cantoni, a suo tempo lo aveva ben ricordato nel “Direttorio”. “Se le idee non trovano gambe non vanno da nessuna parte”. Evidentemente, “le idee scritte in un libro non producono esiti storici se non vengono fatte proprie, incarnate da uomini che si organizzano e si impegnano per la loro diffusione”. Se le idee di Karl Marx, non avessero incontrato Vladmir Il’ic Ul’janov “Lenin”, non ci sarebbe stata la Rivoluzione bolscevica. Ciò che vale per le ideologie, vale anche e soprattutto per la fede: “la fede dipende dalla predicazione”, ricorda San Paolo.
“Un Vangelo chiuso che non sia aperto, letto e vissuto da un uomo che ne diffonda i suoi contenuti e il suo insegnamento divino, con la parola e l’esempio, non produce cristiani”. Pertanto, l’apostolato ha il proprio canale privilegiato e insostituibile nel rapporto personale.
A questo punto Carloni fa riferimento ai messaggi di Papa Benedetto XVI e di Papa Francesco. “L’apostolato richiede la disponibilità a essere ‘ missionario’, pronti a fare, operare e dire tutto per il Signore, per la Sua maggior gloria e per l’evangelizzazione. La testimonianza parte dal modo di vivere. Oggi questa testimonianza richiede la conoscenza e lo studio della ‘cultura digitale’”.
Facendo leva su questi messaggi don Giovanni Poggiali, presbitero della Fraternità San Filippo Neri, ricordava ai militanti di Alleanza Cattolica, che dobbiamo essere “missionari della ‘cultura digitale’, nel ‘continente digitale’, per i ‘nativi digitali’…È il cambiamento di un’epoca. È una nuova civiltà. Dobbiamo essere pronti”.
Sia Papa Benedetto XVI, che Papa Francesco ci invitano ad utilizzare, senza demonizzarli, i nuovi mezzi tecnologici, però stando attenti ai rischi che comporta la comunicazione social quando è priva di verifiche. Anche se Papa Francesco sottolinea che la “buona novella del Vangelo si è diffusa nel mondo grazie a incontri da persona a persona, da cuore a cuore. Uomini e donne che hanno accettato lo stesso invito: ‘Vieni e vedi’ (…)”. Certo ribadisce il Papa, “tutti gli strumenti sono importanti, e quel grande comunicatore che si chiamava Paolo di Tarso si sarebbe certamente servito della posta elettronica e dei messaggi social; ma furono la sua fede, la sua speranza e la sua carità a impressionare i contemporanei che lo sentirono predicare ed ebbero la fortuna di passare del tempo con lui (…)”.
Joshua Mitchell, docente universitario americano, ha ricordato che le vitamine se sostituiscono il pasto, ci si ammala, “gli ‘amici’ sui social media sono integratori della vera amicizia, ma non possono sostituirla”. La giusta via dell’evangelizzazione di oggi è che “il mondo digitale può integrare il mondo analogico nell’apostolato, ma non può sostituirlo”. Tuttavia, “L’uomo non può vivere solo sui social media. La realtà reale, però, è diversa”. È una realtà illusoria quella di vivere in vere e proprie bolle artificiali tranquillizzanti, in vere e proprie comfort zone, dove tutto funziona.
Allora quale sarà la soluzione migliore per noi militanti di Alleanza Cattolica. Certamente auspicheremo un apostolato digitale come base possibile di quello analogico, fatto di incontri, di caffè sorseggiati insieme, di telefonate e anche citofonate. Tuttavia, rimane utile usare i social media per offrire informazione, ma accompagniamola con telefonate, con messaggi personali. E’ utile quando inoltriamo messaggi personalizzati, video seri su whatsapp, accompagnarli con qualche commento, seguiti da qualche telefonata. Diversamente si rischia di essere “silenziati”. Inoltre, un comportamento corretto da tenere “è quello dell’uso pacato delle argomentazioni, con toni giusti, sempre rispettosi del pensiero altrui. Non vince chi grida di più, ma chi è nella verità e la sa rappresentare nella maniera più appropriata mostrandone la bellezza e il senso”.
Un’ultima considerazione è dedicata alla politica, che ormai è diventata il regno dell’agire spinto dal vento forte del relativismo nichilista in antitesi con la morale naturale cristiana. Invece, la politica, dovrebbe essere quella “forma più alta della carità, seconda solo alla carità religiosa verso Dio”, come ebbe a dire Pio XI e come hanno ripetuto tutti i Pontefici da san paolo VI e Francesco.
DOMENICO BONVEGNA
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