di ANDREA FILLORAMO
Lo diciamo con grande sofferenza: il coronavirus non solo ha invaso silenziosamente e rapidamente ogni spazio della terra abitato dagli uomini e ne ha fatto morire e ne farà morire moltissimi, ma ha logorato in poco tempo la nostra quotidianità, privandoci o limitando i contatti sociali e affettivi sui quali avevamo fin da bambini costruito la nostra vita che improvvisamente rischia di precipitare nel “solipsismo”.
Molti, infatti, percepiscono tale situazione non solo come una limitazione e come un distacco fisico ma come una solitudine dell’anima che, come sappiamo, ha necessariamente bisogno di frequenti contatti con gli altri.
Non solo, ma il virus ha proiettato sullo sfondo uno scenario di una crisi economica spaventosa, che finora nessuno sa come affrontarla, che si accompagna ad una crisi istituzionale-politica preesistente alla pandemia.
Tutti, appartenenti ad ogni ceto sociale, uomini, donne, giovani e vecchi ci siamo sentiti privati degli spazi vitali che ci eravamo costruiti e dei momenti della nostra vita sociale, che ritenevamo indispensabili.
Ne hanno sofferto particolarmente i bambini, che si sono sentiti improvvisamente strappati dalla loro scuola, dove si svolgeva buona parte della loro giornata, dai campi di gioco, dalle piscine, dagli oratori, dai luoghi di aggregazione e costretti e non tutti, a seguire, stando a casa, lezioni virtuali, di cui devono essere grati ai loro insegnanti che si sono, con grande disponibilità educativa, impegnati in una didattica a distanza che, senza le dovute sperimentazioni fatte in tempi normali, non possono sostituire le lezioni frontali che durano, come sostiene il prof. Cacciari da più di due millenni e mezzo e che non possono quindi, essere allegramente rimpiazzate dai monitor dei computer o dalla distribuzione di tablet.
Questa situazione inaspettata o ci fa precipitare nel pessimismo più cupo che paralizza ogni sforzo e ci fa cadere, quindi, nell’abisso della disperazione oppure ci induce a cercare strade nuove per andare avanti, a programmare una vita diversa, poiché la vita precedente – e di questo ci dobbiamo convincere – non può assolutamente tornare. “Tertium non datur”: un’altra possibilità non ci è data.
Non si può, infatti, dopo questa “mazzata” che abbiamo ricevuto con il virus che ancora ci assale, non renderci conto che la vita svolta nel passato, che si vorrebbe far tornare, era fatta e ancora è fatta di continui conflitti di persone e di istituzioni, di ingiustizie sociali, di corruzione, di desiderio smodato di possesso, di mera apparenza, di desiderio di opulenza, d’invidia, di religione spesso senza fede che si riduce a mero ritualismo, di scandali a ripetizione che come protagonisti hanno avuto anche preti, vescovi e cardinali, che si sono dimenticati che i loro comportamenti necessariamente devono ispirarsi alla parola di Dio.
Non dimentichiamo, infine, la politica, gestita per lo più da incompetenti e da arruffoni.
Su tali fondamenta – ammettiamolo! – abbiamo costruito, inconsapevolmente, tutti la nostra vita sociale e personale e forse è questa la causa della stessa diffusione di un virus che è diventato incontrollabile per l’assenza o l’insufficienza di risorse necessarie per garantire la sanità pubblica, e tale rimarrà fino a quando non dimostreremo a noi stessi d’essere capaci di demolire la “ pars destruens” del nostro vivere personale e sociale e di operare fattivamente per sostituirla con una “pars construens”, bandendo ogni nostalgia di ciò che mai potrà e dovrà tornare.
È questo sicuramente un cambiamento difficile ad essere realizzato, che ha bisogno di lunghi tempi, avendo fiducia nella nostra intelligenza creativa che saprà suggerire modi e strumenti da utilizzare per uscire dal pantano in cui una cosiddetta civiltà del consumo e del profitto ci ha fatto precipitare.
Essa non ha previsto né ha trovato i modi come difenderci da un piccolissimo corpo, come quello di un virus.
Certamente non possiamo aver fiducia dei politici di Destra e di Sinistra o dei Movimenti senza storia e cultura, che hanno tutti contribuito in modo determinante a creare le gravi situazioni in cui siamo precipitati e che la pandemia in atto ha aggravato.
Padre Spadaro, gesuita messinese e braccio destro di Papa Bergoglio in un’intervista dice: “Quello che percepisco forte è questo bisogno di cambiare. Il Papa lo ha espresso più volte: come se ci fossimo resi conto che c’è qualcosa che non va e ci sono delle energie molto forti che in questo momento non si esprimono ma che si esprimeranno. La cifra per me è quella del cambiamento. Una ripartenza per far sì che tutto ritorni come prima, credo sia difficilmente immaginabile. Le sfide saranno ancora forti e dureranno a lungo. Preferisco pensare ad un ricominciare più che un ripartire”.
Ancora Padre Spadaro dice: “Abbiamo nostalgia delle abitudini. Ma non possiamo né dobbiamo fermarci a questo sentimento effimero. Se lo vogliamo, infatti, è proprio la nostalgia a provocare l’attesa e la speranza. Questo tempo (…) deve aiutarci a pensare il tempo futuro. Avevamo una vita normale perché fatta di abitudini e perché fatta di sorprese. Adesso è cambiato l’orizzonte delle abitudini e delle sorprese. E ci chiediamo se non sia cambiata per sempre anche la nostra normalità”.