Vidi orme celesti sul suolo fiorito come un cielo capovolto.
(J.R. Jiménez)
Celebrare il Natale: un Dio che si fa Bambino, orizzonte nuovo nella storia, pianto e speranza si aggrovigliano sul letto della vita. Vivere il Natale comporta un’immersione totale nell’umanità di Dio, attraverso una riflessione attenta, responsabile e profonda sui brani che la Liturgia offre per questo tempo, riscoprendo pienamente l’umanità del credente. Improvvisa, inattesa una luce irrompe nella notte… squarcia il buio e porta la Parola, Dei Verbum: Parola che rinnova, ossigena il respiro del viandante, abita l’interiorità del cuore che ama, tesse speranza in noi e intorno a noi.
Nel prologo del suo Vangelo, leit -motiv nel tempo natalizio, S. Giovanni dice che i credenti sono stati generati da Dio, non da sangue, né da volere di carne, né da uomo (cfr. Gv 1,13). Quest’affermazione consente di concludere che non è così scontata la consapevolezza degli uomini di essere nati, o meglio, se il corpo ha visto la luce, lo spirito sembra non essere stato partorito.
Quanti sono nati dallo spirito? Quanti hanno ricevuto la tenerezza materna che partorisce divinamente?
Senza amore come è possibile, in verità, nascere all’Amore?
Tale osservazione potrebbe essere scambiata per una visione dualistica e contrapposta dell’uomo, frutto dell’antropologia di stampo platonico. In realtà, tale prospettiva tenta di smascherare il riparo segreto dietro il quale si nascondono i visi di coloro che non percepiscono le risonanze profonde del proprio essere, non riuscendone a discernere la dimensione vera.
Quanti uomini vivono nella simulazione della propria coscienza e divengono quel che sono costretti ad essere sotto lo sguardo degli altri, consacrandosi – nel XXI secolo – al “conformismo di ritorno”?
In tale contesto, il personaggio fittizio creato riuscirà forse a sopravvivere o non crollerà alla fine allorché l’anima rigetterà questa maschera e inizierà a respirare un’aria rarefatta? Questo cambiamento, che in termini cristiani si dice “conversione”, avviene solo nella luce di un amore che vestirà di rispetto la parte più profonda e autentica dell’uomo… Una risonanza quasi del gesto del vescovo di Assisi che con il proprio mantello coprì la nudità di Francesco, quando questi restituì a suo padre i vestiti che non erano più della “sua taglia…
La Scrittura puntualmente riporta gesti e parole di umanità divina che riescono a far scattare un cambiamento radicale e aiutano gli uomini a gettare coraggiosamente la maschera, paravento di una vita dissonante.
Che cosa dovette essere l’emozione della donna adultera quando intese la voce che l’assolveva con questi termini d’ineffabile umiltà: “Nessuno ti ha condannata? Nemmeno io ti condanno!” (Gv 8,11). Un quadro semplice, scarno e facile da comprendere: una donna accerchiata dall’odio, contusa di vergogna, preda anzitutto del terrore del giudizio che l’ipocrisia dei suoi accusatori voleva imporre al Salvatore, invocando la lettera di una legge della quale non cessavano di violarne lo spirito e Lui aveva abbassato gli occhi davanti a lei che, nello stesso istante aveva sentito passare sopra la sua anima un tale soffio di rispetto e d’amore a tal punto da non percepire più le grida che si alzavano contro di lei. Il suo cuore per la prima volta batteva liberamente, il suo animo si lanciava negli spazi infiniti che si aprivano misteriosamente davanti a lei.
Felice chi scopre nel cuore di Dio la culla della sua nascita!
Ma il Vangelo (la buona notizia della nascita del Salvatore) non racchiude forse il tutto? Non troviamo forse lì contenute le risposte di vita che andiamo cercando? È nel Vangelo la Verità che viene incontro a noi, nel mistero del Verbo che respira l’Amore, raccogliendo nella grazia e nella verità la Legge (cfr. Gv 1, 17).
Celebrare il Natale significa vivere l’adesione silenziosa al mistero che si compie in noi, essere al cuore della maternità divina, dove l’essere è partorito alla libertà infinita di Figlio di Dio. L’amore vive della fiducia che noi riponiamo in esso e si abbatte alla sfiducia che lo può sorprendere.
Come un uomo crederà se lo trattiamo con sospetto?
Non si può essere cristiani che cercando e accogliendo la perla di giustizia posta nel cuore dalla misericordia. Erri De Luca scrive “in nome del padre” inaugura il segno della croce, “in nome della madre” s’inaugura la vita, nella profondità delle parole semplici rivisitate del Padre nostro:
Padre nostro che sei nei cieli
guarda il tuo gregge che resti intero e tuo.
Sia salva la tua prosperità, come in cielo così in terra.
Dacci oggi i pascoli di domani,
riporta la smarrita e noi te l’offriremo
e non permettere gli agguati
ma salvaci dai lupi.
Dio, che solo ha il diritto di giudicare, ci ricorda a Betlemme di quale spirito noi dobbiamo essere impastati per non rimanere scandalizzati dalla visione “di un bambino avvolto in fasce”: quello della stessa umanità di Dio, che farà conoscere all’universo come nascere dall’Amore: nel bambino indifeso e fragile ci è affidato Dio.
“Riconosci, o uomo, la tua dignità e impara dalla follia divina un amore senza limiti, riscopri nell’infinità del tuo cuore il vero volto della tua nascita” (S. Leone Magno).
Una gioia immensa rischiara le tenebre della notte.
L’umanità brilla della benignità di Dio nostro Salvatore.
Una Parola echeggia: Emmanuel, Dio con noi!
Ettore Sentimentale