di ANDREA FILLORAMO
Dopo aver pubblicato dei versi, che io stesso ho definito “mediocri”, ma che esprimevano la mia personale esigenza di rendere partecipi gli altri di quanto nel giorno dei defunti, riuscivo a trasmettere del mio “interno sentire”, mi sento invitato dai molti che mi hanno scritto e hanno gradito questo modo diverso di comunicare, a seguire ancora questa scia.
Sono convinto che ciascuno di noi può essere o sentirsi “poeta” e per esserlo non ha bisogno di raggiungere le vette irraggiungibili di Dante, di Petrarca, oppure, essere al pari di Quasimodo o di Neruda; ma soltanto, usare la penna della sensibilità, non per dare informazioni, le cui fonti oggi sono tante fino a procurare talvolta la nausea, ma di utilizzare il cuore per cogliere aspetti non oggettivamente rilevabili.
Nei molti articoli che ho riservato a questo “Foglio elettronico”, ho cercato sempre di avere e di aiutare ad avere un rapporto diretto con la realtà sia quella civile, sia quella ecclesiastica, ricavandoli da una serie di presupposti concreti che possiamo rintracciare anche in altri giornali, in riviste, nella Rete. Non ho fatto mai mancare le mie considerazioni.
In questo sforzo di oggettività, ho analizzato fatti, avvenimenti, storie ma mi sono guardato bene, anche se l’aspetto psicologico dei personaggi mi ha sempre interessato, di penetrare nel cuore della gente e nel mio stesso cuore, per cogliere il dolore, la sofferenza, e talvolta anche i lamenti: cosa necessaria in un quadro di completezza antropologica, che occorre sempre tenere presente e che, anche se non in modo esclusivo, appartiene all’ ”istinto poetico” che è in ciascuno di noi.
A tal proposito, Bertold Brecht scriveva: “Se una poesia su un campo di papaveri ti ha insegnato a guardare meglio i papaveri, ha già adempiuto ad una grande funzione”.
La mia non è una scelta ideologico-letteraria che mi obbliga a scrivere e a fare poesia civile, non ne sono capace; ma cerco di trasmettere sentimenti che, pur essendo soggettivi, presuppongono una certa universalità, se letti e condivisi dai lettori.
Siamo nel momento più propizio per questa operazione: stiamo vivendo, infatti, il periodo più triste e più duro della nostra vita, dato dall’aggressione del Covid-19, che colpisce, in questo momento, in modo pauroso, ogni angolo del mondo e semina terrore, sofferenza e morte.
Vivo in provincia di Monza, una provincia devastata dal Covid-19: ciò, da quasi un mese ancora una volta mi costringe a vivere in totale clausura.
Nel chiuso della mia stanza, ho scritto dei versi che sono qui allegati.
Non intendo avere il plauso, che oltretutto non merito; li ho scritti senza alcun impegno intellettuale e senza alcuna pretesa divulgativa; sono righe spontanee che ho “buttato” sulla tastiera del mio computer, senza alcuna “mania” letteraria e in cui non sono assenti, però, alcune domande esistenziali, che concernono anche la fede, le cui risposte possono essere utili anche agli altri che vivono o possono vivere lo stesso dramma.
Rispondo così a quella che ritengo la mia vocazione mai abbandonata: “dividere con gli altri tutto ciò che si possiede”.
COVID-19
M’affanno a ricontare della vita
I giorni lieti e i rapidi percorsi
riconoscendo il limite del tempo
a me concesso, grazie al mio destino.
Pingo sulla mia tela dei ricordi.
Sono felice e saturo d’amore
con moglie, figli e cinque nipotini:
I volti stanno fissi nella mente.
Fin quando ahimé m’assale un gran terrore:
annullo le mie gioie e la speranza
di rivedere il sole all’orizzonte
quando dal monte a valle s’inabissa.
La pandemia ci assale e non perdona,
come abbondante pioggia che dal cielo
colpisce chi va in giro senz’ombrello
che è inutile, però, se il vento è forte.
Essa colpisce il mondo e le persone.
Fa tani morti, vittime segrete
tradotte senza pianti, lutti e pene
in luoghi incerti senza sepoltura.
Sono solo, costretto a quarantena
Sono sempre in contatto col Signore,
per ascoltarlo spengo il cellulare,
non guardo la tv, che m’addolora.
Dio lo so è con me e non m’abbandona.
Non chiedo a lui di uccidere quel Covid:
sulle leggi e su quanto la natura
contiene in sé, su quanto essa rinserra
è compito dell’uomo provvedere:
la natura scrive tutto su del marmo
con caratteri propri da scoprire
ma l’uomo spesso è un analfabeta.
Vorrei ancor sperare, è quel che sogno
di poter tornare là dove il mare
tocca le sponde di Scilla e di Cariddi
dove ci sono le mie orme sulla sabbia
che il vento che là spira mai cancella.