di ANDREA FILLORAMO
Da 9 anni papa Bergoglio siede sulla cattedra di San Pietro e, nonostante l’entusiasmo per un Papa visto da molti come progressista e riformatore, oggi, mentre aumentano le resistenze e gli ostacoli dati dall’intensificazione delle tensioni nei palazzi pontifici di una gerarchia retriva e contraria a determinate aperture e sorda rispetto all’evoluzione dei tempi, sembra che la spinta propulsiva del suo papato si sia molto affievolita, ma non è così.
Si tenga conto del decadimento fisico del Papa dovuto anche all’età che avanza per il quale le difficoltà, al di là della sua natura di lottatore instancabile, fanno aumentare e rendono difficoltosi i suoi sforzi di riforma e di apertura della Chiesa.
Sembra ormai lontano nel tempo il Sinodo per l’Amazzonia convocato da Papa Francesco per la regione Panamazzonica, che è stato un grande progetto ecclesiale, civile ed ecologico che ha cercato di superare i confini e ridefinire le linee pastorali, adattandole ai tempi contemporanei.
Sebbene il tema si fosse riferito, infatti, ad una regione specifica, come la Panamazzonia, le riflessioni proposte andavano oltre il territorio geografico, poiché coprivano l’intera Chiesa e facevano riferimento al futuro del pianeta
L’obiettivo principale del Sinodo era quello di “trovare nuove vie per l’evangelizzazione di quella porzione del popolo di Dio, in particolare le persone indigene, spesso dimenticate e senza la prospettiva di un futuro sereno, anche a causa della crisi della foresta amazzonica, polmone di fondamentale importanza per il nostro pianeta “.
Il caso Amazzonia, caduto nel silenzio per l’opposizione all’interno della Chiesa non è l’unico; altri esempi si possono portare per constatare come la strada percorsa dal Papa argentino sia stata interrotta sistematicamente dall’area più conservatrice del clero, presente anche in molti episcopi, in parrocchie e nei seminari, dai tradizionalisti che esprimono la loro frustrazione per quella che loro ritengono la massiccia immissione di liquidità nel cattolicesimo romano da parte di papa Francesco consistente, a loro giudizio erroneo: – in un insegnamento incerto e ondivago su materie dottrinali e morali di primaria importanza- nell’insofferenza verso la liturgia pre-conciliare – nella picconatura costante con critiche ripetute al clericalismo- nei modi di fare del papa fuori dagli schemi che destabilizzano le loro consuetudini – nel messaggio accogliente e misericordioso a spese, come loro pensano, dei requisiti dottrinali e morali del Catechismo della chiesa cattolica, ecc.
Tutto questo avrebbe fatto diventare il magistero e, quindi, la Chiesa di Francesco una Chiesa “liquida” che starebbe liquefacendo un’istituzione che ha fatto della sua rocciosa e immutabile struttura canonicamente compatta, sacramentalmente coerente, istituzionalmente stabile, intoccabile e non solo nei suoi dogmi. un tratto distintivo della propria identità.
In mente i tradizionalisti hanno un cattolicesimo più “romano” che “cattolico”, legato, cioè, alla sua tradizione consolidata, caratterizzato da fedeltà e ubbidienza da parte dei fedeli, incentrato sulle sue gerarchie di ordine divino.
Il cattolicesimo liquido per loro è una patologia causata dal Concilio Vaticano II (1962-1965): quell’assise che ha impresso al cattolicesimo tanta e tale liquidità che oggi sta impattando le strutture solide di Roma come mai prima. Riuscirà a liquefarle del tutto? Improbabile.
Roma liquida e solida, forse in un assetto diverso della loro combinazione, ma pur sempre “cattolica” e, allo stesso tempo, “romana”.
I cattolici tradizionalisti sognano il ritorno ad un cattolicesimo “romano”: ma non hanno ancora capito che la loro religione è sia l’uno, sia l’altro.
Comunque finisca il papato di Francesco, la Chiesa se adesso assomiglia ad una coabitazione di due frange più o meno esplicitamente opposte e apparentemente con poche intenzioni di riappacificarsi non sarà sempre così. Ne siamo certi: la Chiesa fondata da Cristo è sarà sempre: “ una, santa, cattolica e apostolica”.