In questi giorni abbiamo assistito alla riapertura di Notre Dame a Parigi proprio l’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione. La cattedrale è dedicata appunto alla Madonna e parlano di lei tante bellezze artistiche fiorite nel corso dei secoli in questo glorioso gioiello gotico: dalle vetrate, alle statue, agli arazzi, ai dipinti. La riapertura di uno dei simboli dell’Europa cristiana potrebbe essere di buon auspicio per il futuro. Antonio Socci in un articolo su Libero (Il segreto di Notre dame ‘per tutti noi’, 7.12.24, Libero) ha proposto una bella sintesi storica.
Ma la mia attenzione si rivolge al futuro politico ed economico dell’Europa, soprattutto dopo la crisi di Germania e Francia, sembra che l’egemonia si sia spenta e si apre una nuova fase, che vede l’Italia al centro dell’attenzione internazionale. Del resto è di queste ore la notizia che La presidente del Consiglio Giorgia Meloni è la “persona più potente d’Europa”, secondo la classifica annuale per il 2025 di Politico.eu. “Nel caos che caratterizza oggi la politica europea, tra crisi di governo palesi come quelle tedesche e francesi, e tensioni manifeste come quelle in atto in una Spagna flagellata da catastrofi naturali, il governo di Giorgia Meloni si sta distinguendo, infatti, per una caratteristica su tutte: la stabilità. In un Paese come il nostro, soggetto a continui scontri, strappi, sgambetti, sabotaggi, questa è effettivamente una novità”. (Carlotta Sisti, Giorgia Meloni è la donna più potente d’Europa per Politico, 11.12.24, elle.com/it)
E questo spiega perché Ursula von der Leyen ha cambiato maggioranza per la sua nuova Commissione puntando sulla presenza dell’Italia. “Chi chiami – scrive il quotidiano statunitense – se vuoi parlare con l’Europa? Se sei Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo e consigliere chiave del presidente eletto degli Stati Uniti Donald Trump, il numero che chiami appartiene a Giorgia Meloni”, sottolineando che “in meno di un decennio, la leader del partito di destra Fratelli d’Italia è passata dall’essere liquidata come una pazza ultranazionalista all’essere eletta primo ministro d’Italia e ad affermarsi come una figura con cui Bruxelles, e ora Washington, possono fare affari”.
Ma ora che il contesto internazionale è cambiato con l’elezione del presidente Trump, bisogna riflettere su quale Unione europea e quale Europa (non sono la stessa cosa) occorre (ri)costruire, scrive Antonio Socci (La Fine dell’egemonia franco-tedesca sulla UE. La possibile rinascita dell’Europa dalle sue grandiose radici spirituali, 9.12.24, Libero.it) Se è vero che Von der Leyen ha già impresso una correzione politica al suo programma, per la diversa maggioranza che la sostiene (meno di sinistra e più di destra). Tuttavia, però è anche vero che la precedente impronta della UE rimane, perché prima di diventare una politica è stata (ed è) un’ideologia, ecodirigista, della disastrosa ideologia woke americana: l’ideologia che è uscita sconfitta dalle recenti elezioni presidenziali. E questa visione ideologica si batte solo con una cultura diversa e alternativa.
Infatti,“Ma se lo schieramento – politico e culturale – trumpiano ha potuto vincere cominciando a ricostruire una “cultura delle radici” che si è opposta e si oppone al virus woke, per riportare – come dice Trump – “il buon senso”, ritrovando l’identità della nazione americana, si fatica a vedere un’analoga svolta culturale europea”. Anche se c’è da rilevare una Lectio Magistralis di Rémi Brague presso la Fundacion Neos di Madrid, dal titolo “Perché l’uomo occidentale si è ridotto ad odiare se stesso”. In Italia l’ha pubblicata quotidiano Il Foglio, il 30 novembre scorso. Chi è Rémi Brague? Filosofo e antropologo, insegna Filosofia medioevale e araba presso la Sorbonne di Parigi e Filosofia delle religioni presso l’Università “Ludwig Maximilian” di Monaco di Baviera. Nel 2017, insieme a Roger Scruton, Robert Spaemann e Pierre Manent, fu tra gli estensori e i primi firmatari di un manifesto di 36 punti dal titolo significativo: Un’Europa in cui possiamo credere, noto come “Dichiarazione di Parigi”, cui diedero la propria adesione ben 100 intellettuali europei con l’eloquente assenza di un qualsiasi esponente della cultura italiana.
Della Lectio Magistralis di Brague c’una interessante riflessione di Leonardo Giordano su alleanzacattolica.org, (Perché l’Occidente odia se stesso, 10.12.24)
Brague affronta il problema, non dal punto di vista storico, ma filosofico, in particolare da filosofo delle religioni, “il tema delle cause che sarebbero alla base di fenomeni come il woke, la cancel culture, l’acritica adesione dell’intellighenzia occidentale all’ideologia gender, all’eutanasia e all’ecologismo ideologico, fenomeni tutti riconducibili ad un odio che l’uomo occidentale proverebbe verso se stesso. Egli afferma in premessa: «Sono un filosofo o, per meglio dire, uno storico delle idee o un filosofo travestito da storico delle idee. Per questo motivo, è chiaro che ho una tendenza a sovrastimare la dimensione filosoficamente rilevante dei fatti e a escludere dalla sfera i fattori economici, politici, ecc. della situazione presente che non rientrano nella mia competenza.»
Non è una precisazione superflua secondo Giordano,“questo approccio dell’intellettuale francese al tema dell’odio dell’Occidente verso la propria storia e la propria civiltà va molto in profondità, evitando di soffermarsi su di una superficiale descrizione di ciò che è il prodotto di cause più profonde”. Mentre Socci si occupa del documento del 2017. Definito profetico, dove c’era scritto che “l’Europa, in tutta la sua ricchezza e la sua grandezza, è minacciata da un falsa concezione di sé stessa”, che smercia “caricature a senso unico della nostra storia” con “un pregiudizio invincibile contro il passato”.
Secondo quei firmatari, i “padrini dell’Europa falsa” sono coloro che “altezzosi e sprezzanti” sono “incapaci di riconoscere i difetti del mondo post-nazionale e post-culturale che stanno costruendo”. Coloro che “ignorano, anzi ripudiano le radici cristiane dell’Europa”, ma “allo stesso tempo, fanno molta attenzione a non offendere i musulmani, immaginando che questi ne abbracceranno con gioia la mentalità laicista e multiculturalista. Affogata nel pregiudizio, nella superstizione e nell’ignoranza, oltre che accecata dalle prospettive vane e autogratulatorie di un futuro utopistico, per riflesso condizionato l’Europa falsa soffoca il dissenso. Tutto ovviamente in nome della libertà e della tolleranza”.
Così, scrivevano i firmatari di questo appello, “siamo in un vicolo cieco”. Perché “la minaccia maggiore per il futuro dell’Europa” non arriva dall’esterno: “L’Europa vera è a rischio a causa della stretta asfissiante che l’Europa falsa esercita sulla nostra capacità d’immaginare prospettive”.
Socci dal documento sottolinea come i firmatari sostenevano quell’Europa vera come comunità di nazioni. Lo Stato-nazione è diventato il tratto caratteristico della civiltà europea. Una comunità nazionale è fiera di governarsi a modo proprio (…). Noi non cerchiamo l’unità imposta e forzata di un impero. I firmatari criticavano, quella vita dell’Europa regolamentata. Quelle regole, spesso predisposte da tecnocrati senza volto, che governano le nostre relazioni professionali, le nostre decisioni nel campo degli affari, i nostri titoli di studio, i nostri mezzi d’informazione e d’intrattenimento, la nostra stampa. Una Europa che cerca di restringere ancora di più la libertà di parola, una libertà che è stata europea sin dal principio”.
Ricordavano, per esempio, la difficoltà di dire “certe verità sconvenienti sull’islam e sull’immigrazione”. I firmatari inoltre mettevano in guardia dall’“uso sempre maggiore del potere statalista, dell’ingegneria sociale e dell’indottrinamento culturale”. In questi anni si osservava che la maggior parte della classe dirigente europea ha dato vita a istituzioni sovranazionali che possano controllare senza l’inconveniente della sovranità popolare. In questa politica si sentivano e si sentono, Legittimati da presunte necessità economiche o attraverso l’elaborazione autonoma di una nuova legislazione internazionale dei diritti umani. Questi nuovi mandarini sovranazionali delle istituzioni comunitarie europee confiscano la vita politica dell’Europa, rispondendo alle sfide in modo tecnocratico: non esiste alternativa. È questa la tirannia morbida ma concreta che abbiamo oggi di fronte”.
DOMENICO BONVEGNA
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