Non capita spesso ritrovarsi tra le mani un libro dove mette insieme i maggiori “santi sociali” della Torino dell’800. Ci sono riusciti descrivendoli sinteticamente tre giornalisti-scrittori appartenenti alla stessa famiglia, Domenico, Renzo e Domenico Jr. Agasso, in “Il Risorgimento della carità. Vita e opere di uomini e donne di fede”, Effatà Editrice (2011)
Gli autori offrono ai lettori una guida sintetica di sette figure della Chiesa torinese, in ordine di presentazione: Giuseppe Benedetto Cottolengo, Francesco Faa di Bruno, i Marchesi Barolo (Carlo Tancredi e Giulia Colbert), Leonardo Murialdo Giovanni Bosco, Giuseppe Cafasso. Ce ne se sono tante altre, che hanno caratterizzato tutto l’Ottocento. Peraltro, un sacerdote in un libro ne ha inventariati ben duecento, tra santi, beati, servi di Dio e venerabili o totalmente non riconosciuti dalla Chiesa.
La Storia ufficiale riconosce Garibaldi, Cavour, re Vittorio Emanuele, Mazzini, i cosiddetti “Padre della Patria”. Si ricordano le battaglie di Custoza, Solferino, Novara, le Cinque Giornate di Milano e via di seguito. Ma c’è un altro Risorgimento da ricordare, quello che i libri di storia non raccontano: quello dei Santi. Mentre i politici liberali e massoni tramavano e i soldati guerreggiavano, insieme all’élite degli intellettuali, “a Torino c’era qualcuno che, invece di fare l’Italia, pensava a fare gli italiani. C’erano i santi, appunto, che in mezzo alla tempesta della guerra, dell’odio e della discriminazione religiosa, si presero cura dei poveri, dei bambini di strada, delle prostitute, dei carcerati, della vita quotidiana della gente qualunque che aveva il cruccio di non morir di fame”.
Sono santi, le cui storie sono narrate all’interno del volume Il risorgimento della carità, hanno pensato a strategie, hanno compiuto battaglie, hanno soccorso migliaia di persone. Si tratta di individui che si sono adoperati per dare speranza, dignità e un futuro, attraverso l’istruzione, la preparazione al lavoro, la creazione di case editrici, di biblioteche, di scuole in una Torino che viveva una situazione di degrado spaventoso.
Sono i santi sociali dell’altro risorgimento, anzi forse è meglio definirli i santi della carità. Mentre l’élite al potere fantasticava progetti “a tavolino”, producendo solo parole e utopie. Questi uomini e donne di Chiesa rimboccandosi le maniche, ottenevano grandi risultati semplicemente impegnandosi con dedizione ognuno facendo la propria parte, operando nel concreto, facendosi prossimo.
Il periodo in cui operarono i nostri santi è tra i più difficili della Chiesa. I cattolici erano divisi di fronte alle nuove ideologie nate dopo la Rivoluzione francese, soprattutto di fronte allo Stato laico e unitario che iniziava ad affiorare all’orizzonte. Da una parte c’erano gli intransigenti che rifiutavano senza compromessi le nuove ideologie a cominciare dal liberalismo. Poi c’erano i cattolici liberali (i transigenti), per la verità, una minoranza, ma rumorosa, che auspicava un’opera di discernimento e di accoglienza delle nuove idee.
In una società torinese dove si andavano diffondendo le idee laiche e anticlericali, “I grandi santi piemontesi dell’Ottocento – scrivono gli Agasso – scelsero una via diversa, quella dell’impegno in ambito sociale: mossi dalla carità, seppero farsi prossimo”.
IL testo inizia con il Cottolengo, che ha creato la “Piccola Casa”, dove si accolgono i malati che tutti gli altri non vogliono. Si passa al “Cavaliere degli stracci”, il beato Faa di Bruno. Di questa figura ho letto un po’ ed ho frequentato abbastanza la struttura che lui ha promosso nel Borgo San Donato a Torino. Una figura che mi ha sempre affascinato da quando ho letto la bella biografia di Vittorio Messori, “Un Italiano serio”. Anche gli Agasso sottolineano la sua straordinaria poliedricità di intenti che ha mostrato in tutta la sua vita: scienziato, professore, architetto, ingegnere, soldato, musicista, educatore, scrittore, fondatore, religioso. Poteva adattarsi al sistema liberale dei Savoia e probabilmente sarebbe diventato un uomo politico influente; invece, volle con passione piegarsi sugli ultimi della Torino povera. In particolare, sceglie di operare con tutte quelle donne abbandonate spesso dopo essere state sfruttate dagli uomini potenti. Per loro conduce una guerra alla povertà fondando istituzioni e opere religiose. Segue la descrizione di una coppia singolare, straordinariamente ricca, i marchesi di Barolo: Carlo Tancredi (1782-1838) e Giulia Colbert (1786-1864). Entrambi ricchissimi, una coppia riuscita, in sintonia fino all’ultimo senza cedimenti o tiepidezze. Si sono conosciuti alla corte napoleonica di Parigi. Certamente “Codini”, cioè reazionari entrambi. Giulia e Tancredi scelgono di vivere a Torino, presso il palazzo Falletti, in via delle Orfane, anche se spesso amano viaggiare. Vivono felici, ma non possono avere figli, i coniugi Barolo accettano il disegno provvidenziale di Dio su di loro. Così decidono di diventare padre e madre dei tanti disgraziati e abbandonati che vivono ai margini della società.
Anche queste figure fondano diverse opere religiose di carità (le suore di Sant’Anna), in particolare si occupano dell’aspetto educativo, pertanto promuovono scuole, utilizzando metodi educativi all’avanguardia. Nelle “Sale d’Asilo” accolgono ragazzi e ragazze, che non sono capaci di affrontare le scuole ordinarie. In particolare, credono nello sviluppo fisico dei ragazzi. Non posso soffermarmi ancora, certamente a breve dovrò leggere il grosso tomo (721 pagine con 32 tavole) della Libreria Editrice Vaticana, “Giulia Colbert di Barolo. Madre dei poveri”, a cura di suor Ave Tago. Una biografia documentata offertami da suor Florita Suarez. Così avremo maggiori notizie di questi giganti della carità.
Ritornando al testo degli Agassi, a pagina 79 si descrive San Leonardo Murialdo (1828-1900). Gli autori del libro mettono il titolo, “un uomo di preghiera più che di azione”. Mi sento di contestare la definizione, perché anche il Murialdo ha creato un “mare” di opere sociali e religiose, come ho potuto constatare con la lettura della biografia di Accornero (Il Pioniere), certo aiutandosi con la preghiera.
Murialdo si occupa degli operai, dei disoccupati, del lavoro minorile, della buona stampa, fonda giornali, opera con le biblioteche. Dirige il Collegio degli Artigianelli, il maggior impegno della sua vita.
Infine, gli ultimi due santi: san Giovanni Bosco, probabilmente il più conosciuto dei santi torinesi e poi san Giuseppe Cafasso, che peraltro provengono dello stesso paesino, Castelnuovo d’Asti e per questo hanno un percorso della loro vita simile. Non mi soffermo più di tanto, vi lascio alla lettura della sintesi offerta dai giornalisti torinesi. E per quanto riguarda Cafasso al mio studio pubblicato, qualche anno fa sui blog dove collaboro.
DOMENICO BONVEGNA
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