Nonostante la netta vittoria di Donald Trump, il dibattito post-elettorale continua, ma soprattutto continua quella denigrazione mista a indignazione da parte dell’area sinistra progressista, si possono sentire frasi del tipo: “Come si fa a votare per uno come Trump!”. Tuttavia, non è tanto Trump il punto principale del discorso aperto dalla sua elezione.
Certamente The Donald è una figura complessa e imprevedibile, e così lo è il suo programma di governo, ma il punto veramente rilevante è l’emergere prepotente sul palcoscenico della politica statunitense di quella “America profonda” che sfugge ai sondaggi. Dalle elezioni americane emerge un dato fondamentale, l’appoggio alla Harris non solo di buona parte dei media, ma anche di molte personalità del mondo dell’informazione e dello spettacolo non abbia avuto un grande effetto di fronte ai bisogni concreti degli elettori dell’America profonda e delle loro famiglie. Probabilmente, l’appello a votare per lei da parte di star e divi di Hollywood multimilionari, anziché favorirla ha acuito la distanza percepita tra lei e gli elettori. Su questo tema, merita attenzione cosa ha detto al Sussidiario.net Marcello Foa: “I media hanno perso da tanti anni la loro indipendenza, sono diventati autoreferenziali illudendosi che con i titoli di giornali e telegiornali si possano influenzare gli umori della gente. In realtà, in America c’è un sentimento di sfiducia così forte nei confronti dei media che le campagne contro qualcuno, in questo caso Trump, finiscono per avere l’effetto opposto sulla grande massa del pubblico. I media non interpretano più il Paese reale, non esercitano più in maniera oggettiva il loro ruolo di contropotere; dunque, la loro opinione non influenza più le masse. Lo ha detto con molta chiarezza Jeff Bezos nel suo editoriale sul Washington Post. La stessa cosa accade anche in Italia”.
Qualcuno ha scritto che a Kamala Harris il suo partito ha affidato una missione impossibile: distanziarsi dall’amministrazione in carica di cui però lei è formalmente l’incarnazione. Una contraddizione troppo grande alla base della sua candidatura. Altra osservazione è che i democratici hanno commesso un errore di fondo nell’ordine delle priorità trasmesse, anteponendo nella narrazione di questa elezione i diritti civili (percepiti come questioni da “ricchi” o di pochi nella società americana) ai diritti sociali (lavoro, previdenza, assistenza, famiglia, comunità di “valori” e in certi casi di legami di sangue). Come se queste due libertà non siano più in grado di convivere in una proposta di vita democratica organica, ma siano in alternativa.
L’”America profonda” NON ha tenuto conto delle accuse a Trump dei giudici.
Un elemento apparentemente contraddittorio di questa elezione è che, nonostante i problemi legali di Trump, molti elettori hanno deciso di metterli da parte, considerando tali accuse come parte di una “caccia alle streghe” portata avanti dall’élite per impedirgli di tornare al potere. Molti elettori hanno visto Trump come una vittima piuttosto che come un colpevole
Nonostante i tentativi dei democratici di dipingere Trump come una minaccia per la democrazia, un “fascista”, una parte consistente di americani ha trovato queste accuse esagerate o strumentali. Forse questa retorica troppo forte, hanno finito con allontanare potenziali elettori moderati o indecisi. La scelta della vicepresidentessa Kamala Harris come candidata ha inoltre sollevato dubbi, con molti americani che hanno visto in lei un simbolo di quell’élite liberale e progressista percepita come lontana dalle esigenze delle persone comuni.
Il voto a Trump dai circoli elitari è stato definito “di pancia”, probabilmente, ritengono di averlo solo loro il cervello. Non vi è dubbio che queste cosiddette élite abbiano la pancia piena, ma viene da pensare che anche il loro cervello sia pieno, ma di idee preconcette con scarsi contatti con la realtà, quella vera, non costruita a propria immagine.
È quindi fondamentale porsi la domanda di cosa è alla base di queste scelte di una parte del popolo “sovrano”, determinante nel caso di Trump, e magari nonostante lui. Una domanda che sembra essere impossibile per chi sta nel “palazzo di cristallo”, che preferisce considerare strumentalmente il suo palazzo come l’unico mondo esistente. Un discorso che riguarda anche la tecnocrazia elitaria che governa l’Unione Europea, sempre più separata dall’Europa dei popoli. C’è una domanda che soprattutto va posta ai giornalisti:
“Perché anche stavolta nessuno aveva capito che Trump poteva vincere con questo scarto?”
La risposta sta in quell’America profonda, che vive soprattutto negli Stati centrali, non diversa dalle periferie italiane, francesi e tedesche, che sfugge un po’ ai radar della politica e anche dei sondaggi. Per questo occorre forse, rimodellare gli strumenti di rilevazione, che ora rischiano di sottorappresentare certe classi sociali. Probabilmente c’è una parte della società, che sfugge alla conoscenza dell’opinione pubblica, dei media e quindi dei sondaggi. A questo punto è evidente che il vantaggio di Trump non è maturato all’ultimo momento.
Un’altra riflessione da fare è se questa vittoria di Trump cambia definitivamente il partito repubblicano. Si apre una fase nuova nel partito? Trump ormai si è appropriato definitivamente del partito, che ha cambiato pelle. Non è più il GOP di Reagan, globalista e pro immigrazione, ma un partito Maga (Make America Great Again), nazionalista, con forti spinte all’insegna del protezionismo e populista. C’è un altro fenomeno che va tenuto in grande considerazione, ed è che la cosiddetta gente comune (la pancia, per l’appunto) non ne può letteralmente più delle imposizioni woke e del cosiddetto politicamente corretto, che in realtà è diventato un fascismo del pensiero. A questo proposito scrive Alberto Contri (Dentro il voto USA/ 2. Da Selzer a Taylor Swift, quell’“infotainment” che ha tradito il popolo americano, 8.11.24, ilsussidiario.net)
“I lavoratori americani hanno smesso di bere la birra Budweiser da quando l’azienda ha messo sulla lattina della birra “Zero” una modella trans. Le famiglie hanno cominciato a boicottare i film della Disney troppo inzeppati di personaggi LGBT. Molte altre aziende, Harley Davidson in testa, hanno annunciato di non voler perseguire più una propaganda contrabbandata come responsabilità sociale, che oltretutto ha portato a perdite miliardarie in Borsa. Per non parlare della ribellione alle follie green, che non servono affatto a combattere il mutamento climatico, o alla imposizione di vaccini che in America hanno provocato un enorme numero di effetti avversi spesso fatali. Di conseguenza molti elettori hanno assai apprezzato la cooptazione di Bob Kennedy Jr. nel gruppo dirigente repubblicano con dirette responsabilità sulla salute pubblica”.
Infine da segnalare sempre da IlSussidiario.net una intervista di Vincenzo Sansonetti all’esperto Marco Respinti (DENTRO IL VOTO USA/ L’America rurale ha battuto le città per poter dire ancora “Buon Natale”, 14.11.24, ilsussidiario.net) Intervista che presenterò a breve. Così come tratterò il tema del voto cattolico, determinante per la vittoria di Trump.
DOMENICO BONVEGNA
dbonvegna1@gmail.com