Più volte ho scritto riferendomi alla Storia che ci sono della pagine che non si conoscono bene o addirittura affatto come quelle che riguardano gli ultimi “crociati” che hanno combattuto fino alla fine per difendere il governo temporale di Pio IX. Esistono pochi libri che trattano questo tema. Tempo fa ho letto e recensito “Con l’Italia mai! La storia mai raccontata dei Mille del Papa”, di Alfio Caruso, edito da Longanesi (2015). Un amico mi ha scritto che si aspettava un testo di ben altro spessore. Forse ha ragione, ma intanto accontentiamoci.
Il merito di Caruso è di aver raccontato soprattutto i fatti, gli episodi che hanno visto protagonisti gli zuavi, i soldati del Papa, chiamati così per via dei pantaloni larghi e poi stretti alle caviglie. Anche se a tratti si lascia andare ai soliti luoghi comuni, soprattutto riguardo il potere temporale della Chiesa. Tuttavia il libro di Caruso cerca almeno di rendere onore all’ultimo esercito del Papa.
I protagonisti del libro sono gli zuavi, soldati e nuovi crociati, che dal 1860 al 1870 si sono impegnati a difendere il Papato. In questo periodo a Roma transitarono volontari di ben ventisette nazioni. In tutto mai superarono le quindicimila unità, anche perché le scarse disponibilità economiche della casse pontificie non permettevano di mantenere un esercito più grande. I richiedenti furono numerosissimi e alcune fonti parlano addirittura di centomila giovani pronti a partire dal solo Quebec. Le reclute vennero dunque inquadrate in diversi corpi, il più famoso dei quali fu quello degli Zuavi, nato ufficialmente il 1 gennaio 1861 sui resti dei Tiragliatori franco-belgi.
Un esercito eterogeneo, con una straordinaria novità: “per la prima volta nella storia, il fabbro bavarese combatteva fianco a fianco con il conte francese, lo studente italiano con l’agricoltore irlandese, l’ex seminarista fiammingo con il cacciatore di bisonti statunitense. Nobili e popolino avevano trovato nella Fede e nella comune causa della difesa del potere temporale della Chiesa un collante così efficace da travalicare qualsiasi steccato sociale. Inoltre, diversi ufficiali che avevano edificato la propria carriera sui più famosi campi di battaglia europei dettero prova di grande umiltà arruolandosi a Roma come soldati semplici, e furono numerosi quelli che rinunciarono allo stipendio per devolverlo in favore di opere pie”. (Luca Fumagalli, “I Mille del Papa: sottane, pastori e anatre selvatiche in difesa di Pio IX”, 28.12.15, Radiospada.org) Uno straordinario esempio di vera e genuina applicazione dell’uguaglianza, e della vera democrazia dal basso e dall’alto. Una risposta efficace a tutti quelli che hanno sempre accusato la Chiesa di assolutismo e di opporsi al moderno progresso.
L’altro protagonista è Pio IX, a lungo pontefice, dal 1847 al 1878. Un lunghissimo e travagliato pontificato, dovette soffrire non poco nell’adempimento della sua missione al servizio del Vangelo. Fu molto amato, ma anche molto odiato e calunniato. Ci sono comunque rinomati storici come l’oblato benedettino, Fabrizio Cannone, che in un testo edito dalle Edizioni Ares (2012),“Il Papa scomodo. Storia & retroscena della beatificazione di Pio IX”, ha ricostruito con un supporto impressionante di prove e documenti, la vera figura di Pio IX. Sarebbe importante soffermarsi sulla questione del potere temporale, il libro di Cannone lo spiega bene, sostanzialmente il Pontefice,“credeva assolutamente necessario conservare uno Stato politicamente indipendente per garantire alla Chiesa quell’indipendenza spirituale che altrimenti sembrava lesa o gravemente minacciata”. Peraltro, nel 1862, Pio IX si espresse con chiarezza:“La S. Sede non sostiene come dogma di fede il dominio temporale, ma dichiara che il dominio temporale è necessario e indispensabile, finché duri questo ordine di Provvidenza, per sostenere l’indipendenza del potere spirituale”. Un avvertimento: attenzione a guardare la Storia non con i nostri occhi, ma con quelli del tempo.
Altri protagonisti di questo periodo burrascoso per la Chiesa, furono il segretario di Stato della S. Sede Giacomo Antonelli, il conte belga Francois-Xavier de Merode, creatore dell’armata pontificia. Poi ci sono i vari comandanti come Kanzler, De Courten, Allet, Azzanesi e Ungarelli, de Charette, che maturarono una lunga carriera nell’esercito pontificio.
Lo storico catanese descrive correttamente con un taglio giornalistico l’appassionante vicenda dei volontari di Pio IX; è un passato contraddittorio e scomodo per l’Italia, soprattutto per come è stato risolto dal potere liberale piemontese e savoiardo.
Particolareggiate le descrizioni delle battaglie affrontate dagli zuavi a cominciare da quella di Castelfidardo e di Mentana dove Garibaldi e i suoi hanno subito una cocente sconfitta, peraltro l’unica della sua carriera. Al grido plurisecolare di tutti gli eserciti cristiani, “Dio è con noi”, i vari battaglioni zuavi si gettano nella mischia, come a Castelfidardo,“i volontari di Pio IX hanno mostrato di non essere mercenari ubriachi, prevaricatori, assetati di bottino. Hanno tenuto un comportamento esemplare nei rapporti con la popolazione, si sono battuti fino al limite del sacrificio”. Il testo di Caruso infine, racconta gli ultimi giorni prima di Porta Pia, ben descritti fin nei particolari, con puntuale critica al governo del re Vittorio Emanuele, che contrabbanda la guerra al papa come missione di pace. Anche se il mondo ha capito chi è l’aggressore e chi è l’aggredito, chi viola le regole della convivenza civile e chi no.
La storia dei Mille del Papa si concluse a Roma il 20 settembre 1870.“Lo stato maggiore papalino, su consiglio di Pio IX, puntò a una resistenza poco più che simbolica. Qualche cannonata, alcune decine di morti e la città si arrese: la rivoluzione italiana alla fine aveva trionfato. I reparti pontifici, il cui bivacco si trovava in piazza San Pietro, alla sera cantarono per l’ultima volta “L’inno a Pio IX” composto da Charles Gounod […]”.
Complessivamente il libro tende all’oggettività, la bibliografia è scarna, nonostante tutto, viene spesso citata l’opera dell’irlandese Patrick Keyes O’Clery, “La rivoluzione Italiana. Come fu fatta l’unità della nazione”, edizione Ares, (2000). L’irlandese ha vissuto in prima persona quegli anni, infatti, si era arruolato per l’ultima battaglia in difesa del papa. Recentemente ho letto il libro di Gigi Di Fiore, “Controstoria dell’unità d’Italia. Fatti e misfatti del Risorgimento”, (Rizzoli,2007) lo storico napoletano dedica un paragrafo (“L’ultima crociata”) al tema della resistenza dell’esercito pontificio.
Il generale Cialdini in un discorso alla vigilia dell’invasione dello Stato Pontificio, si espresse con violenza e ingiuria nei confronti dei combattenti del Papa: “Soldati, vi conduco contro una masnada di briachi stranieri che sete d’oro e vaghezza di saccheggio trasse nei nostri paesi. Combattere, disperdere inesorabilmente […]”, anche il generale Manfredo Fanti li definiva, “bande straniere senza patria e senza tetto”. Ma chi erano questi combattenti così osteggiati dai capi dell’esercito sardo piemontese. “Per alcuni si trattava di mercenari attratti solo dal denaro, altri li consideravano invece cattolici della nobiltà europea, accorsi a difendere lo Stato del Papa. Crociati del XIX secolo. Soldati dell’ultima crociata contro i ‘senza Dio’ piemontesi”. Nel 1860 che fu creato un vero esercito da monsignor de Merode, con l’aiuto del generale francese Louis Christophe de Lamoriciere, con l’obiettivo di arrivare ad un organico di 16.000, 20.000 uomini. I principali centri di arruolamento furono Marsiglia e Vienna. Si cercò di formare battaglioni omogenei per lingua e nazionalità: franco-belgi; tedeschi; austriaci e soprattutto irlandesi. “Il richiamo al cattolicesimo, la difesa del papa furono attrattive ideali sufficienti a spingere migliaia di giovani, in gran parte della buona nobiltà europea, ad arruolarsi”. Di Fiore va nel dettaglio, i volontari accorsi da tutta l’Europa furono ben 5.000 gli austriaci, tanti olandesi, polacchi, belgi, svizzeri, gli italiani furono 6.000. “Non erano soldati di professione, ma cattolici volontari spinti dalla profonda fede religiosa”. Interessante la brigata tutta irlandese, 3.000 volontari, creata dal generale Nugent, chiamata la brigata “San Patrizio”. “Il richiamo romantico della crociata prese molti di quei giovani. Sete di giustizia, antigaribaldinismo come reazione all’Inghilterra che sponsorizzava la spedizione dei Mille […]”. Il battaglione iralndese, fu diviso in otto compagnie, agli ordini del maggiore Myler O’ Reilly e dei cpitani Coppinger, Boshan, Blacknay, Kirwin. I combattenti irlandesi parteciparono a tutti gli scontri con l’esercito italiano, soprattutto a Castelfidardo, la Brigata San Patrizio, diede il meglio di sé, si difesero accanitamente contro i bersaglieri piemontesi. “Fu proprio la brigata San Patrizio, spinta dall’odio per gli inglesi filopiemontesi e dai loro profondi ideali cattolici, a distinguersi”. Tra gli 88 morti e i 400 feriti pontifici della battaglia, la maggioranza fu proprio irlandese. Quando il generale piemontese lesse la lunga lista dei morti o feriti dopo la battaglia, esclamò: “Che nomi! Pare di leggere una lunga lista di invitati ad un ballo di Corte sotto Luigi XIV”. I prigionieri pontifici subirono la stessa sorte dei borbonici, furono spediti in Piemonte nel carcere di Fenestrelle. IL testo di Di Fiore si attarda sui feriti pontifici morti senza cure nell’ospedale improvvisato di Loreto. Certo l’esercito piemontese poteva contare su ben 183.000 uomini, i pontifici avevano un organico di 21.000 uomini. La vittoria per le truppe italiane era scontata. Tuttavia il piccolo esercito pontificio cercò di riorganizzarsi, affidandosi a due nuovi comandanti, il barone tedesco Hermann Kanzler e il marchese Giovan Battista Zappi. Nel 1867 l’esercito del Papa contava 13.000 uomini. Nonostante gli attentati dei rivoluzionari mazziniani contro le caserme degli zuavi, il popolo romano non insorge. Il testo descrive l’attentato alla caserma romana Serristori nel Borgo S. Spirito che causò la morte di 22 zuavi. Sempre in questi attacchi dei garibaldini da segnalare, quello guidato dai fratelli Cairoli, mentre Menotti Garibaldi lamentava la passività dei romani. Uno scontro militare decisivo con i garibaldini si ebbe il 3 novembre 1867 a Mentana, tremila pontifici insieme ai francesi contro 9.000 garibaldini, guidati da Garibaldi. Un combattimento a tutto campo, alla fine le perdite pontificie sono irrisorie, complessivamente 71 morti e 139 feriti compresi i francesi. Le perdite garibaldine furono tra morti e feriti un migliaio, i prigionieri 1398. Mentre 4.000 camicie rosse compreso Garibaldi, fu permesso di passare la frontiera per l’Italia. In tutta Europa, addirittura in Canada, le notizie di Mentana furono accolte con festeggiamenti. “Gli zuavi, ‘mercenari’ pagati 50 centesimi al giorno e una razione di minestra, caffè e pane, avevano saputo dimostrare il loro valore”. Le truppe furono accolte a Roma in trionfo, gli abitanti di Monterotondo, che avevano subito le violenze dei garibaldini, accolsero il generale Kanzler come un liberatore. Questi sono gli ultimi “crociati” del Papa, figure e vicende dimenticate, che meritano essere anche loro ricordate.
DOMENICO BONVEGNA
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