Egregio Professor Ernesto Galli Della Loggia,
chi Le scrive è figlia di una delle tante Vittime delle brigate rosse. Formulo la presente a titolo personale e in qualità di Vicepresidente dell’Associazione Vittime del Dovere.
Ho letto le Sue dichiarazioni alla giornalista Federica Fantozzi e la mia prima reazione, istintiva, è stata: oltre il danno anche la beffa? Tenterò invece, per quanto umanamente possibile, di accantonare il lato emotivo e proporre delle osservazioni obiettive.
So di non avere titoli altisonanti, né – probabilmente – una cultura e una preparazione storica paragonabili alle Sue, ma, per quanto mi sforzi, non riesco proprio a comprendere: come si può “dimenticare, non perdonare”?
Il vocabolario mi conferma che dimenticare significa “cancellare dalla memoria”. A questo punto sorge inevitabile una domanda: dovrei lobotomizzarmi? Perché questo dovrei fare per cancellare dalla mia memoria SOLO l’assassinio di mio padre, senza cancellare tutto il resto. La nostra vita non è un nastro, che possiamo riavvolgere e quindi decidere di tagliare via alcune scene, né per nostro desiderio né, soprattutto, per pretesa scelta di altri.
Secondariamente, mi scusi, ma ancora una volta proprio non riesco a comprendere: come si può dimenticare e, al tempo stesso, non perdonare? Se il mio ricordo non ci fosse più, se fosse cancellato, automaticamente non ci sarebbe più nulla che scaturisca dal ricordo: no dolore, no rabbia, no senso di impotenza, no desiderio di perdonare o non perdonare.
Gli anni sono passati, ma il nastro non si può – e non si deve – riavvolgere, né per noi, né per gli assassini.
E’ vero che le pene sono efficaci se sono immediate, gli uomini arrestati oggi certamente non sono gli stessi di quaranta anni fa. Ma Lei è certo che siano migliori e non, addirittura, peggiori rispetto ad allora? Mi sembra che questo dubbio non La abbia nemmeno sfiorata.
“Il puro dettato della legge impone che i colpevoli siano estradati e scontino la pena. Punto.”: allora perché tanti dubbi?
Perché ci dovrebbe essere richiesto – addirittura attraverso una “moral suasion privata” da parte delle Istituzioni – un ulteriore sacrificio, oltre a quello già compiuto dai nostri familiari?
Francamente, ripeto, forse non sono molto intelligente, mi sfugge quale sia il peso sull’altro piatto della bilancia.
La pace civile che chiude un’epoca? Cosa significa, in termini pratici?
La fine della storia, per la pace di tutti, non può essere che l’applicazione della pena comminata e non certo un’amnistia. Amnistia addirittura auspicabile per assassini non pentiti?
Sulla base di quale presupposto? Per premiare la loro bravura ad eludere il carcere per quaranta anni? Perché il terrorismo è stato anche fenomeno politico?
In qualunque caso, un messaggio assolutamente non condivisibile, il Suo, da lanciare ai giovani di oggi e alle generazioni future, alle quali mi auguro che la storia – perché, purtroppo, questa è storia – venga raccontata secondo verità.
E ci permetta almeno di respirare liberamente per pregare ad alta voce, tributando onore e pace alla memoria dei nostri caduti, grazie a quel prezioso ossigeno rappresentato da una sia pur parziale verità dei fatti storici che comunque ancora oggi ci deve essere concessa nella sua interezza. Ciò lo pretendiamo per la nostra dignità, per l’onestà intellettuale che si meritano i nostri figli e ora, che siamo maturi e il nostro dolore ci ha accompagnato costantemente per oltre quaranta anni, anche per l’amore verso i nostri nipoti.
Distinti saluti
Ambra Minervini