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Nella Polonia degli anni Ottanta del secolo scorso ci furono un centinaio di omicidi politici compiuti quasi sempre da “autori sconosciuti”. Tra le vittime anche sacerdoti, tra cui spicca una figura singolare: Jerzy Popieluszuko. Aveva solo trentasette anni. La Chiesa ha riconosciuto il suo martirio e l’ha beatificato il 6 giugno 2010.
Wlodzimierz Redzoich e Grzegorz Gorny sono gli autori di un libro che racconta la vita e l’assassinio di don Jerzy (Giorgio), selvaggiamente assassinato il 19 ottobre 1984, da agenti della Sb (Servizio di sicurezza del ministero affari interni). Il testo, “Jerzy Popieluszko. Martire del comunismo”, Edizioni Ares (pagine 272; e. 16,80; 2024) si compone oltre alla breve biografia del sacerdote, di una serie di interviste a sacerdoti, vescovi, laici, fedeli, che hanno conosciuto don Jerzy. Il libro non intende fare una storia cronologica, come viene evidenziato nella prefazione, si tratta di ricordi che perpetuano varie situazioni, eventi, impressioni, emozioni. Alle conversazioni si affiancano testi di Grzegorz Gorny, il quale aiuta a collocare la figura del sacerdote al contesto storico della Polonia governata dai comunisti. Parte integrante del libro costituiscono le fotografie di Janusz Rosikon. Gli autori del libro rappresentano tre diverse generazioni, si sentono in qualche modo in debito con don Jerzy. “Sono consapevoli che il suo sacrifico tocca direttamente anche loro, che è collegato al destino di tutti i polacchi. Di questa coscienza si fa carico il presente libro”.
La presentazione è del cardinale Marcello Semeraro, Prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, ritiene la pubblicazione una operazione opportuna, “sia per la forza testimoniale del beato, ma pure per il valore dell’autore che su Popieluszko ha scritto più volte e non su lui soltanto”. Monsignor Semeraro auspica che il lavoro dei giornalisti polacchi contribuisca a diffondere e accrescere ulteriormente la conoscenza di questo sacerdote, beato e martire.“Sarà davvero un bene per tutti, perché attraverso il sacrificio dei martiri, Dio cambia i cuori degli uomini”.
Jerzy Popieluszko, nasce il 14 settembre 1947 nel villaggio di Okopy, nel Nord-est della Polonia. Non starò qui a presentare tutte le conversazioni o interviste, peraltro ci sono fatti ripetuti anche se da prospettive diverse. Inizio con l’interessante conversazione, forse la più completa, con Janusz Kotanski, ambasciatore della Polonia presso la Santa Sede nel periodo 2016-2022. Da studente negli anni Settanta del secolo scorso formò un gruppo segreto anticomunista denominato “Organizzazione”, successivamente si chiamò Associazione nazionale studentesca (Zns) e dopo entrò nelle strutture clandestine di Solidarnosc. Kotanski è autore di una biografia “Popieluszko. Nagroda dla Ksiedza” (Il premio per il sacerdote, Apostolicum, Varsavia 2010).
Ha collaborato alla sceneggiatura dello spettacolo teatrale “Fedeltà” dedicato al sacerdote di Solidarnosc assassinato. Kotanski da storico colloca la figura di Popieluszko nella politica del regime comunista nei confronti della Chiesa e dei credenti. In particolare dal 1944 al 1989. Per il regime, la Chiesa era il nemico che bisognava distruggere. Questo è evidente in tutti i documenti dal Segretariato del primate di Polonia il cardinale Stefan Wyszynski. Non importa se l’ordine di combattere la Chiesa è arrivato da Mosca, certamente, i comunisti, “non stavano eseguendo solo ordini dal Cremlino. I comunisti polacchi, come Bierut, Gomulka o Jaruzelski, odiavano sinceramente la Chiesa.
Erano atei e comunisti, e l’ideologia comunista presuppone l’annientamento della Chiesa”. A quel tempo chiarisce l’ex ambasciatore, era sola la Chiesa a contrastare il processo rivoluzionario, la quale era l’unica comunità che univa la gente. Pertanto i comunisti che combattevano la Chiesa, combattevano la stessa identità polacca. Kotanski, ci offre una descrizione storica della violenta politica contro la Chiesa dei governi comunisti polacchi . A questa politica ci fu la resistenza molto intelligente del Primate Stefan Wyszynski, ma anche dall’arcivescovo di Cracovia Adan Stefan Sapieha, che ha preceduto Wojtyla. Tuttavia Wyszynski utilizzò un’altra strategia politica rispetto per esempio a quella del cardinale Jozsef Mindszenty in Ungheria, che fin dall’inizio, disse ai comunisti un duro “no”, per questo suo rifiuto fu arrestato e torturato mostruosamente.
Mentre Wyszynski subì l’arresto e la deportazione in varie città della Polonia. Kotanski ci parla del sistema repressivo del regime rivolto direttamente alla Chiesa, terrore e menzogna, erano gli strumenti frequenti. Tutti i sacerdoti schedati senza eccezioni, anche le suore sorvegliate. Con l’elezione a Pontefice di Karol Wojtyla, la situazione non è migliorata, i russi subito si resero conto del pericolo di questa elezione. Era una vergogna per loro che un cittadino di un Paese comunista diventasse Papa.
Passiamo al periodo della legge marziale dal dicembre 1981, il ruolo della Chiesa del nuovo Primate Jozef Glemp, che fu criticato, forse non compreso, certamente diverso dal suo predecessore cardinale Wyszynski. L’ultima parte della conversazione Kotanski risponde alle domande su chi era il giovane sacerdote don Jerzy. Per capire occorre partire dal minuscolo villaggio Okopy dove è nato. E’ cresciuto in una famiglia straordinariamente patriottica e religiosa, don Jerzy ha avuto uno zio ucciso dal Nkwd nel 1945. In questa regione la lotta partigiana anticomunista è stata a lungo molto attiva, pertanto qui a nessuno bisognava spiegare che cos’era il comunismo. Lo storico ricorda come venivano trattati i seminaristi obbligati a fare il servizio militare, e spesso sottoposti ad ogni tipo di pressione per abbandonare i seminari e quindi la vocazione. Si trattava di una vera e propria rieducazione. Qui il nostro giovane Jerzy seminarista fu sottoposto ad ogni tipo di sopruso, ma sopportò tutto eroicamente.
Il 28 maggio 1972, Popieluszko riceve l’ordinazione sacerdotale dalle mani del primate Stefan Wyszynski. Dopo aver operato in alcune parrocchie di Varsavia, diventa residente nella parrocchia di S. Stanislao Kostka a Zoliborz, a Varsavia. Casualmente don Jerzy celebra la prima santa Messa per gli operai in sciopero nelle Acciaierie di Varsavia (Huta Warszawa). Fu la svolta della sua vita, “Qui incontra un nuovo ambiente che non lascerà mai più. Sarà con loro fino alla fine, fino al martirio”, dice Kotanski. Nella chiesa di S. Stanislao si svolgevano le Sante Messe per la Patria, ideato dal parroco don Teofil Bogucki, venivano celebrate ogni ultima domenica del mese e vi partecipavano migliaia di fedeli, proprio per ascoltare don Jerzy che infondeva speranza. Erano degli eventi veri e propri a cui partecipavano anche decine e decine di artisti, che magari qui ritrovavano la fede.
E’ un aspetto che il libro sottolinea, praticamente la Chiesa per questi artisti era una vera e propria isola di libertà in quell’oceano di schiavitù, tra le mura dei luoghi sacri potevano esprimere ciò che provavano, senza arrendersi alla censura comunista. Il libro fa un nutrito elenco di questi personaggi. Nella conversazione con Bugoslaw Morka, cantante d’opera, uno dei maggiori tenori di Polonia, alle domande in merito al significato delle Messe per la Patria, rispondeva: “Servivano per mantenere la fede e la speranza. Parlava molto coraggiosamente e le guidava il motto: ‘Dio, Onore, Patria‘. In 123 anni di spartizioni della Polonia tra le potenze vicine, nessuno ha potuto spezzare la nazione polacca, per il fatto che in essa, operava lo spirito della fede. E tale spirito caratterizzava le Messe per la Patria di don Popieluszko, il più grande sacerdote nello stato di guerra, diceva la verità, non offendeva nessuno, poiché era una persona piena di amore e di umiltà. Per questo era pericoloso per la sicurezza e per tutto il resto in quell’orribile sistema che dominava allora la Polonia, un apparato che si manteneva sulla menzogna”.
Kotanski ha studiato tutte le omelie di Popieluszko e assicura che non ha mai attaccato nessuno personalmente, ha detto sempre la Verità. Attaccava i peccati e non i peccatori. Era unico, era meraviglioso, e questo attraeva a lui migliaia di persone. Non odiava, provava soltanto amore, una cosa estremamente difficile in quegli anni bui. Diceva: “Dovete aiutare le persone che sono perseguitate, oppresse; i vostri vicini, coloro che siedono nei tribunali; coloro che sono privati del lavoro […]Questa è la nostra solidarietà polacca”.
Il suo messaggio è vincere il male con il bene, tra l’altro è il messaggio di san Paolo. In tutti i ricordi di don Jerzy compare sempre lo stesso motivo: era un sacerdote semplice, normale. Calmo, fiducioso, gentile, aperto alle persone. Don Bugocki così lo ricorda: “Era un uomo completamente genuino, semplice e buono. Non era malato di grandezza, non si fingeva eroe, non gli piacevano gli applausi […] Era attivo e coraggioso. Nessuna minaccia, lettera di ammonimento, ricatto, processo o reclusione e i numerosi interrogatori gli hanno impedito di lavorare per il bene degli altri, per Solidarnocs, per la patria; nulla, neppure gli attentati durante i viaggi, l’ha scoraggiato […] Nonostante le suppliche dei suoi amici e le minacce dei suoi nemici, non è fuggito, ma è andato solo incontro al pericolo”. Jerzy Popieluszko voleva essere un pastore di anime che attirava a Cristo le persone. Credeva che il modello migliore per farlo fosse dare l’esempio in prima persona. Le persone hanno bisogno di vedere l’opera di Dio nella nostra vita per convincersi non soltanto della sua esistenza, ma anche dell’amore gratuito, incondizionato e illimitato con cui ci circonda.
Don Popieluszko si ispirava agli scritti di Giovanni Paolo II e del Primate Stefan Wyszynski e poiché era referente del sindacato nell’ambiente degli operai siderurgici, gli interessava particolarmente la riflessione che riguardava i temi della Dottrina Sociale della Chiesa, collegata alla concezione cristiana del lavoro. Naturalmente sia il Papa che il cardinale erano indubbiamente delle autorità, soprattutto perché era maturata nel confronto con il sistema comunista, che pretendeva di rappresentare gli interessi della classe operaia. Del resto il Papa in gioventù era stato lui stesso operaio e quindi aveva esperienza, non soltanto teorica. In seguito da pastore a Nowa Huta, contribuisce che la “città senza Dio” diventasse nell’arco di tre decenni la “roccaforte di Solidarnosc”.
Il testo si sofferma sulle riflessioni di Wyszynski sulla questione operaia, che non conoscevo, il quale già da quando era sacerdote si è dovuto misurare con la minaccia socialista. Divenne esperto del sistema sovietico. Come egli scrisse: “Non si può combattere il comunismo, se non lo si esamina a fondo, se non si mettono in luce i suoi presupposti errati e le sue aspirazioni non sincere; l’errore deve essere chiamato per nome e stigmatizzato”. Anche se Wyszynski fu abbastanza critico nei confronti del capitalismo. Tuttavia, era convinto che gli aspetti negativi del sistema capitalista, potevano essere cancellati o limitati dall’assunzione della dottrina sociale cattolica, in particolare dalla solidarietà sociale.
Peraltro Wyszynski nel 1946 ha scritto un libro, “Lo spirito del lavoro umano. Riflessioni sul valore del lavoro”, che Popieluszko voleva ripubblicare, dove il futuro Primate polacco credette che le idee della solidarietà erano realizzate dal governo portoghese di Antonio Oliveira Salazar. Quando si fondò Solidarnosc, il cardinale sperava che il nuovo sindacato libero, accettasse il concetto di solidarietà sociale, tra l’altro durante l’omelia per la delegazione dei sindacati da Gdynia il 22 febbraio 1981 disse: “Ci fu un politico che guidò la cosiddetta rivoluzione pacifica. Si chiamava Salazar. Per molti, molti anni governò il proprio Paese, il Portogallo. Trasformò il suo Paese, sempre senza pace, pieno di ogni sorta di violenza e prevaricazione in un paese di pace e di prosperità”.
Tornando a don Jerzy, concludo con la conversazione con il cardinale Stanislaw Dziwisz, che era segretario di Giovanni Paolo II, il quale era ben informato su ciò che accadeva in Polonia. Sull’imposizione della Legge marziale, il Santo Padre, fu toccato profondamente, ripeteva continuamente: i polacchi non meritano di essere trattati così. Il Papa la considerava una umiliazione per l’intera nazione, un colpo alla libertà, per la quale i polacchi avevano sempre combattuto. Quando seppe dell’assassinio del sacerdote, il Santo Padre, rimase sconvolto e non si capacitava di come si fosse giunti a un tale crimine per eliminarlo. Paragonò la morte di don Jerzy al crudele martirio di sant’Andrea Bobola, gesuita missionario polacco, per il quale aveva speciale devozione. Il Papa e don Jerzy non si sono mai incontrati, ma tramite il vescovo Dabrowski, gli fece avere un rosario.“Voleva che don Jerzy sapesse che il Papa era con lui, che entrambi avevano la stessa preoccupazione per l’uomo e la sua libertà, che insieme combattevano per i diritti della persona umana e i diritti dei lavoratori”.
Giovanni Paolo II citò don Jerzy anche dopo la libertà riacquistata. Il 31 ottobre 1990, durante l’udienza generale, ricordò le sue parole: “Per restare persone libere spiritualmente bisogna vivere nella verità. La vita nella verità è dare testimonianza esteriormente, è dichiararsi per essa e rivendicarla in ogni situazione. La verità è immutabile. Non si può distruggere la verità con qualche decisione, con qualsiasi legge”. Infine, poi disse ai polacchi: “Ci parli la testimonianza di questo sacerdote, che è sempre attuale, che era importante non soltanto ieri, ma anche oggi, forse oggi più ancora”.
Il 6 giugno 2010 in piazza Pilsudski a Varsavia, con la Messa solenne, celebrata dal cardinale Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, viene beatificato don Jerzy Popieluszko.
DOMENICO BONVEGNA
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