L’intervento: La copertura della Chiesa dei casi di abusi sessuali

di Andrea Filloramo 

La diocesi di Bolzano per scoperchiare definitivamente gli abusi sessuali commessi sui minori negli ultimi 70 anni dai suoi preti. 

Ha seguito una procedura già sperimentata in altri paesi europei e mai voluta dalla  Conferenza Episcopale Italiana. Ha  affidato, cioè, a uno studio legale tedesco specializzato il compito di scandagliare gli archivi su un arco temporale di ben sessant’anni. Sono stati accertati, così, ben 67 casi. Da ciò una considerazione: se tale risultato fosse confermato in analoghe analisi, come facilmente è ipotizzabile anche in altre diocesi, il prete pedofilo, quindi, non sarebbe da considerare, come si è cercato di far credere: una “mela marcia”.

Nel leggere questa notizia, non posso  esimermi dal fare qualche commento. 

In realtà – come più volte ho fatto osservare nelle pagine di IMGPress – non sappiamo se la pedofilia clericale di cui tanto si parla e si scrive, sia un difetto, un vizio o una malattia molto grave dei preti.  

 Da qualche decennio le contestazioni rivolte alla Chiesa Cattolica sul tema della pedofilia sono state frequenti.  

 L’accusa principale è quella di aver prima prodotto e poi protetto sacerdoti pedofili, ignorando le denunce e limitandosi al massimo a trasferirli in altre parrocchie.   

 Su tutte le testate giornalistiche italiane e internazionali, pertanto, si parla  di “copertura dei casi di abusi sessuali”, di “interventi ritardatari da parte delle autorità ecclesiali”, di “processi segreti”, di “ottenimenti di “lasciapassare”, di “scarsa considerazione delle denunce mosse dalle vittime” e di “trasferimenti di sacerdoti accusati di molestie sessuali”.  

Una cosa è certa: i preti pedofili non sono oggi da considerare delle “mele marce” come dicono alcuni vescovi e, fino a qualche tempo fa, la stessa Conferenza episcopale italiana.  

La metafora della mela marcia è intellettualmente strumentale e disonesta quando è utilizzata per manipolare una realtà e quando non è funzionale ad esprimere con immediatezza una realtà che sarebbe più difficile descrivere attraverso un ragionamento articolato.  

Essa fornisce una rappresentazione abbastanza rassicurante della pedofilia dei preti, ed è un modo assolutorio di vedere il fenomeno, in cui non si è in grado di identificare quelle che sono chiamate mele marce e rivelare la loro vera natura.  

Essa, inoltre, erroneamente ci dice che la pedofilia clericale non si può prevenire, in quanto nella sostanza afferma che ci saranno sempre più o meno casualmente, dei preti con qualche particolare “difetto di fabbricazione”, che li rende predestinati alla pedofilia.  

Di questa metafora, quindi, i vescovi si sono serviti nel passato per circoscrivere la responsabilità alle singole persone e per assolvere il sistema clericale di cui essi fanno parte.  

La complicazione deriva dal fatto che, se si rimuovessero davvero e alla radice le principali tra le cause, ovvero il l’imposizione perpetua ai chierici di una vita casta e il celibato ecclesiastico, si sopprimerebbero anche il loro statuto sacrale, la presunta superiorità del loro ceto sui laici e quindi buona parte di ciò che legittima i loro presunti  diritti a guidare  il popolo di Dio. 

 Una cosa è certa: la pedofilia clericale, in tutte le sue forme, anche in quella “dolce”, occulta e silenziosa, molto facile nel rapporto con i bambini, che sfugge all’osservazione, che – stando ad alcune indagini – è più diffusa fra i preti di quanto si possa pensare.  

Sollevare totalmente il velo su questo mondo oscuro e spesso impenetrabile del clero che non può essere mai netto e definitivo, è un’impresa che solo in parte è stata  fatta dalla Chiesa. 

La sua omertà, se nel passato, quando cercava di tutelare il buon nome dei preti, era per qualche caso magari in una certa misura comprensibile, oggi, però, non le è più   consentito di andare oltre i limiti posti dal Vangelo. 

 Oggi basta mettere insieme i tasselli del mosaico, dispersi nelle cronache locali, per fare emergere un quadro di violenza endemica che riguarda ogni ambito della vita della Chiesa e molti anzi moltissimi preti.  

 Dinnanzi al montare dei molti casi denunziati dai media, occorre prendere atto dolorosamente di questo dramma ecclesiastico e, pensare che il prete pedofilo non è una persona dalla promiscuità sessuale e il suo problema centrale non è la sessualità. Il suo comportamento deviante non è spiegabile solo alla luce di un forte desiderio sessuale o di una mancanza di controllo degli impulsi.  

 Il problema è più profondo.  

 L’ipotesi più accreditata è che si tratti di una persona dai profondi sensi di inadeguatezza personale che ricorre alla dominazione dei più deboli ed inermi al potere, a forme subdole di relazionarsi e di tutto ciò non si sente in colpa.