Sarei tentato provocatoriamente di dare ragione alla Commissione comunale di Milano che ha declinato l’offerta della famiglia della scultrice Vera Omodeo della statua sulla maternità, visto che nella città meneghina e non solo imperversa una forte denatalità, gli esperti della commissione prendono atto della situazione e scoraggiano la collocazione della statua in uno spazio pubblico.
Naturalmente non è questo il reale motivo della bocciatura della statua. Per gli esperti la scultura rappresenterebbe “valori certamente rispettabili ma non universalmente condivisibili da tutte le cittadine e i cittadini, tali da scoraggiarne l’inserimento nello spazio pubblico”. Pertanto, consigliano di donare l’opera a un istituto privato, come un ospedale o un istituto religioso. “Resta da capire cosa si intende per valori non condivisibili: essere una donna, allattare o persino partorire? Nell’epoca della furia arcobaleno, non ci stupiamo più di niente. Specialmente a Milano”. (M. Balsamo, Se allattare “non è un valore condiviso”, 5.4.24, atlanticoquotidiano.it) Intanto il sindaco Beppe Sala visto il notevole eco mediatico è stato costretto a fare un passo indietro e a scaricare le responsabilità sui tecnici. “C’è una commissione che non risponde a me, ma alla quale chiederò di riesaminare la questione, perlomeno ascoltando il mio giudizio. Ossia non penso che urti alcuna sensibilità”. Sulla rivista CulturaIdentità, è intervenuta Rita Lazzaro ed ha centrato la questione. ( “No alla statua che allatta: vergogna woke a Milano”, 8.4.24)
“la maternità era, è sarà sempre donna. Che piaccia o meno solo il corpo della donna è capace ad accogliere e far nascere la vita. È il corpo della donna col suo utero, i suoi ovuli, il suo seno a essere il solo capace di ospitare e donare e accogliere la vita”. Probabilmente tutto questo, “infastidisce i censori al servizio del politicamente corretto: ricordare che la maternità è donna e che quindi la donna esiste. Quel politicamente corretto puntualmente scorretto con la figura femminile vituperandone la sua essenza. Basti pensare ai murales e alle statue raffiguranti un uomo che allatta o ai concorsi di bellezza femminili e gare sportive vinti da uomini che si sentono donne”.
Per la giornalista la causa di questa degradazione della donna è la “cultura woke che, in nome della tutela della diversità, cancella quella che muove il mondo. Una diversità che si cerca in tutti i modi di censurare impedendo statue che “osano” rappresentare la realtà o proponendo leggi che danno vita a una vera e propria caccia alle streghe sol perché dicono il vero, ossia che un trans non è una donna”.
Sul tema è intervenuto anche Marco Invernizzi, responsabile nazionale di Alleanza Cattolica, che ha cercato di evidenziare alcuni aspetti della vicenda, che peraltro potrebbe essere liquidata con una semplice constatazione: “l’odio ideologico contro la maternità è andato oltre il sopportabile nella situazione attuale della società, che si è ribellata. Gli stessi sostenitori dell’aborto libero tacciono perché si sono resi conto dell’assurdità del parere espresso dalla Commissione”. (Allattare è uno scandalo?, 8.4.24, alleanzacattolica.org)
Tuttavia Invernizzi, propone una riflessione impegnata in cinque punti. Dalle dichiarazioni della Commissione, la raffigurazione di una donna che allatta “rappresenta valori rispettabili ma non universalmente condivisibili da tutte le cittadine e i cittadini». La statua, che si intitola “Dal latte materno veniamo”, non esprime dunque valori universali? “Sarebbe bello potere interrogare gli estensori di tale parere e ascoltare la loro risposta. Da dove pensano che veniamo? O forse si vuole fare apologia della maternità surrogata, che peraltro prevede comunque la nascita da una madre biologica?”
Invernizzi evidenzia che la “dittatura del relativismo” che domina la cultura moderna non può accettare l’esistenza di valori universali, che prescindono anche dalla cultura di un popolo perché sono scritti nella natura di ogni uomo. Questo è il senso della statua e della mamma che allatta il suo bambino, come avviene normalmente”. Con questi presupposti è difficile risalire la china del crollo demografico diffondendo questa mentalità.
La Commissione del Comune ha suggerito di donare la statua a un ente privato, magari religioso. Cosa significa, che, se una cosa è “religiosa”, allora è bene che sia relegata nel privato? Che idea hanno della religione i membri della Commissione? E qui si apre la questione della libertà religiosa. Tra l’altro “non si sta nemmeno parlando di una confessione religiosa, ma della domanda religiosa che ogni uomo si pone: chiedersi da dove si viene e dove si va dopo la morte è un affare privato, oppure è la domanda universale, che ogni uomo si pone? Attenzione, – precisa Invernizzi – perché con questa mentalità si mette in discussione il principio stesso della libertà religiosa, che non è soltanto la libertà di culto, ma anche e soprattutto la necessità di una dimensione pubblica per la domanda religiosa”.
In conclusione lo studioso milanese fa due osservazioni: 1 riguarda la drammatica scomparsa del “senso comune” nel modo di pensare dei cosiddetti intellettuali, che formano le commissioni “culturali” dei comuni. Neppure la maternità e il gesto così puro e naturale dell’allattamento al seno si salva dalla pressione lgbtq a cui siamo sottoposti, a volte senza neppure rendercene conto. 2 osservazione, invece, è positiva e apre alla speranza: “c’è in giro ancora del “buon senso”, che potrebbe diventare “senso comune” se opportunamente coltivato. Se ne è accorto persino il sindaco Sala, che ha chiesto il riesame della decisione. Partiamo da lì per rifare un mondo migliore”. E di questo senso comune non ancora scomparso è frutto l’intervento di Vittorio Feltri su Il Giornale di ieri (“Che male fa una madre che allatta, 8.4.24) Il direttore rispondendo ad un lettore, considera il gruppo di sedicenti e pseudo esperti d’arte, come ad un club di censori, “una sorta di polizia morale chiamata a compiere valutazioni prettamente etiche sulla base della loro ideologia”. Pertanto, secondo Feltri, se la statua non rappresenterebbe, valori condivisibili da tutti i cittadini. Questo significa che può essere esposto solo quello che è condiviso da tutti? “Una maniera strana questa qui di concepire la democrazia. Ma, soprattutto, chi stabilisce che la maternità non sia un valore sentito da tutti i milanesi, i quali del resto sono tutti nati dal ventre materno, non dagli alieni né sono stati raccolti da sotto un cavolo o consegnati dalla cicogna?”
Anche per feltri in questa faccenda, affiora la mania del politicamente corretto che minaccia e cerca di intaccare e sovvertire i nostri valori, “diffondendo il convincimento che essi siano insultanti, quindi sbagliati, ossia da censurare e rinnegare o almeno da nascondere. Eppure si tratta di valori universali, che appartengono all’umanità, come appunto quello della maternità, il quale non è affatto legato ad un fattore culturale o ideologico né tantomeno sessuale”. Insomma,– insiste Feltri – lo ribadisco, mi risulta che ciascuno di noi sia nato da una donna, che ciascuno di noi sia germogliato all’interno di un grembo femminile, che ciascuno di noi abbia avuto una madre che lo ha generato e partorito. Chi può dunque dirsi insolentito o ferito o denigrato o urtato alla vista di una statua che ritrae questa tipologia di legame primordiale, ossia quello tra madre e figlio?”. Intanto agli smemorati ricorda che il simbolo di Roma è la lupa che allatta Romolo e Remo, cosa che non ha mai leso o indignato nessuno.
L’ex direttore prima di concludere ricorda che la stessa commissione che ha bocciato quest’opera ha approvato altre opere di dubbio gusto, se non addirittura mostruose, come quella che deturpa attualmente la facciata della stazione centrale. Insomma, la statua della mamma con il neonato è offensiva, mentre determinate brutture conferiscono prestigio alla metropoli.
DOMENICO BONVEGNA
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