Il documentato sito “Bitter Winter” sulla libertà religiosa e i diritti umani in Cina, regolarmente offre puntuali notizie sul controllo del PCC dell’informazione, dei social media in Cina. Soprattutto dopo la diffusione dell’epidemia del coronavirus, le autorità cinesi hanno imposto una serie di misure volte a censurare o a eliminare messaggi sull’andamento della pandemia. Peraltro spesso le informazioni sono edulcorate dalla propaganda governativa.
In particolare sono diventati obiettivi della censura,“Gli account sui social media del personale che lavora nelle commissioni sanitarie, nei dipartimenti per la prevenzione e il controllo delle epidemie, negli uffici che si occupano di sicurezza pubblica, cultura, istruzione e turismo, nei dipartimenti propagandistici e in altre istituzioni governative”. (Lin Yijiang, Censurati gli account social dei medici, 12.7.2020, bitterwinter.org).
Naturalmente tutti i commenti di chi opera negli ospedali o nelle scuole sono rigorosamente controllati. «Il provvedimento è finalizzato a prevenire fughe di informazioni per evitare che i cittadini «mettano in discussione e critichino» i provvedimenti governativi finalizzati alla prevenzione dell’epidemia».
Gli operatori sanitari, sono sotto controllo, è severamente proibito «pubblicare a piacimento informazioni, immagini, video e simili per evitare qualsiasi impatto negativo».
Un medico che ha lavorato a Wuhan ha riferito a Bitter Winter: «Visto che alcuni Paesi intendono chiedere alla Cina il risarcimento per i danni subiti, il PCC vuole bloccare le informazioni sui fatti in modo da spostare su altri le proprie responsabilità per la pandemia». Il medico ha anche aggiunto che, come tutti i suoi colleghi, è stato obbligato a firmare un accordo di riservatezza. Uno dei medici è stato rimproverato per aver scritto su WeChat che a Wuhan gli operatori sanitari erano sovraccarichi di lavoro. Gli è stato ordinato di eliminare tale informazione «per prevenire l’instabilità sociale».
Se questa è la situazione all’interno della Cina, poco ci manca che si ripeta anche nei Paesi dove abitualmente si intrattengono rapporti commerciali con il colosso cinese, vedi Italia. Nell’ultimo numero della rivista Cristianità (n. 403, maggio-giugno 2020) ne parla il direttore responsabile Andrea Morigi, giornalista di Libero. Morigi esamina gli evidenti cambiamenti dell’editoria giornalistica in Italia, dai quotidiani ai periodici, a cominciare dal massiccio ruolo della rete internet, che ha messo in difficoltà tutta la stampa. Affrontando il tema del ruolo del giornalista, ne rileva la scarsa fiducia nell’opinione pubblica. Inoltre nel servizio affronta i rapporti dei gruppi editoriali, le loro dinamiche sociali, l’indipendenza dell’informazione e i rapporti con i vari finanziatori, anche se il loro perimetro di influenza va sempre più restringendosi. In particolare Morigi fa riferimento al gruppo Rcs MediaGroup e a Mondadori , Mediaset. In particolare quest’ultima «da anni ha stretto accordi per la trasformazione digitale con il colosso cinese delle telecomunicazioni Huawei, che i governi occidentali, Stati Uniti in testa, sospettano di svolgere attività di spionaggio industriale e financo militare». (Gabriele Carrer, “Biscione cinese. Così Mediaset sceglie Huawei (non ditelo a FI, Salvini e Meloni), 9.5.2020, in Formiche.it).
Pertanto secondo Morigi, «in questo contesto va analizzata anche l’offensiva della propaganda del Partito Comunista Cinese nel panorama dell’informazione italiana. La prima testa di ponte viene gettata nel 2010, con la partnership fra Class Editori – che pubblica i quotidiani MF e Italia Oggi e diversi periodici, oltre a essere l’editore delle emittenti televisive Class Cnbc, Class Life e Class TV Moda – e l’agenzia di stampa Xinhua, principale gruppo media controllato da Pechino, in diversi campi, fra cui l’interscambio di notizia, l’organizzazione congiunta di eventi, i servizi di formazione online e le banche dati». (Andrea Morigi, Come cambia il mondo dell’informazione in Italia, n. 403, maggio-giugno Cristianità).
Che il fenomeno non si sia esaurito, Morigi riporta altri numerosi e successivi accordi con Xinhua, come quella dell’AGI, l’Agenzia Giornalistica Italia, di proprietà dell’ENI. L’accordo editoriale precisa Morigi è stato firmato nel marzo del 2016, fra l’AGI e il Quotidiano del Popolo, il maggiore quotidiano cinese, il cui presidente Yang Zhenwu ha ricordato il ruolo di diffusione delle politiche del governo e delle linee del partito Comunista Cinese della testata, non solo sul cartaceo, ma anche sui nuovi media e sui social media.
Non finisce qui nel 2017, l’Agenzia Nazionale Stampa Associata – ANSA, i cui soci sono i maggiori quotidiani italiani, firma un memorandum di cooperazione con l’agenzia Xinhua, che prevede lo scambio dei rispettivi notiziari, una collaborazione sulla produzione di contenuti. Nel 2019 si registra un accordo analogo tra il Sole 24 Ore, quotidiano della Confindustria e il China Economic Daily, quotidiano di riferimento per l’informazione economica del governo cinese.
Infine significativa la notizia sulla visita di Stato in Italia, del premier cinese Xi Jimping, in questa occasione la Rai, Mediaset e Class Editori hanno lanciato la “Settimana della Tv cinese”, nel corso della quale vengono trasmessi 20 lungometraggi, documentari e serie TV selezionati dal Cmg, tra cui la versione italiana delle ‘Citazioni letterarie di Xi Jimping’, segretario del partito Comunista Cinese e presidente della repubblica Popolare Cinese.
Ancora più grave appare la notizia che anche il sindacato dei giornalisti (FNSI) intrattiene rapporti con le istituzioni di Pechino, responsabili della censura e dell’incarcerazione di giornalisti, nonostante i loro incontri siano volti ad «approfondire alcuni aspetti legati all’attività sindacale e a promuovere la salvaguardia della libertà di stampa, del diritto dei giornalisti ad informare e dei cittadini ad essere informati».
Questa è la situazione ora si comprende perchè i nostri tiggi su Pechino, sulla Cina sono abbastanza abbottonati per non dire altro. Certo Pechino vuole conquistare il mondo, lo hanno detto esplicitamente i dirigenti comunisti cinesi, in questa strategia, il nostro Paese, sicuramente svolge un ruolo importante. Se un domani i cinesi, facendo leva sugli investimenti delle varie aziende controllate dall’apparato statale cinese, usassero l’arma del ricatto per limitare il diritto di parola e di espressione, «ci troveremmo di fronte non solo a un attacco alle libertà fondamentali, ma anche al tentativo di imbavagliare la denuncia delle persecuzioni contro i cristiani e i fedeli di altre religioni che avvengono dietro la Grande Muraglia nel nome dell’ideologia comunista».
DOMENICO BONVEGNA
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