La manifestazione no pass di Novara non è la prima che utilizza simboli legati alla Shoah per esprimere una protesta che non ha nulla in comune con le persecuzioni dei popoli nella storia e tantomeno con l’Olocausto. Dopo il recente presidio no vax – no pass a Bolzano, in cui i manifestanti si sono applicati sul petto la stella gialla, quello stesso simbolo con cui i nazisti identificavano i cittadini ebrei, lo storico Federico Steinhaus, esponente insigne della comunità ebraica altoatesina, commentava con le seguenti parole: “La cosiddetta libertà no vax è priva di fondamento. E su questo si innestano l’oscenità e la stupidità del paragone col nazismo, i campi di sterminio e col destino del popolo ebraico”.
Nello scorso luglio il consigliere comunale Andrea Asciuti citava pubblicamente Primo Levi, in un comunicato, per contestare il Green pass: “Non iniziò con le camere a gas…”. Poche settimane dopo la deputata Sara Cunial accostava l’obbligo del green pass alle leggi razziali e alla soluzione finale. Non passava neanche un mese e un manipolo di no pass si radunava davanti all’ingresso della Regione Lazio esibendo un cartello la cui scritta “No green pass” richiamava” l’insegna che si trovava sul cancello di Auschwitz e che riportava la frase “Arbeit Macht Frei”. Per non parlare dei social, attraverso i quali i messaggi no pass che collegavano la misura governativa atta a contenere l’epidemia alle leggi razziali si susseguivano a un ritmo frenetico, sempre più insinuanti e contemporaneamente grotteschi. Il commento della senatrice Liliana Segre definiva meglio di ogni altro la natura del fenomeno: “Sono dei “gesti in cui il cattivo gusto si incrocia con l’ignoranza: siccome spero di non essere né ignorante né di avere cattivo gusto, non riesco a prendermela più di tanto”.
Sulla stessa linea, dopo l’evento di Novara, è il testimone dell’Olocausto Thomas Gazit, che risiede nel capoluogo di provincia del Piemonte e mi ha scritto “È il frutto dell’ignoranza mista alla maleducazione. Non mi sento neanche di reagire, se non invitando i manifestanti no pass a studiare la storia e a riflettere su di essa prima di abbandonarsi a esternazioni farneticanti”. Sono d’accordo con loro, i testimoni. Se vogliamo evitare il ripetersi di manifestazioni che offendono la memoria della Shoah, dobbiamo sì stigmatizzarle, ma soprattutto promuovere la conoscenza delle pagine di storia più buie e tragiche del secolo scorso. Educare alla Memoria, educare alla Shoah è il miglior antidoto, il miglior vaccino contro la banalizzazione e la strumentalizzazione delle vittime, dei sopravvissuti e dei giusti che hanno conservato e conservano ancora la verità storica di ciò che avvenne e che portò all’assassinio sistematico di sei milioni di ebrei e di centinaia di migliaia di esseri umani che appartenevano a minoranze invise al nazismo.
Roberto Malini
Nella foto, “Holocaust”, opera dell’artista santhiatese Ennio Cobelli