In questa dinamica emerge e si afferma il nulla, che non può dare speranza di fronte alla tragedia del #noi, così vissuto disperatamente. Si delinea una tragedia senza più sbocchi, soluzioni, creatività. È la fine che passa attraverso il comunismo che crolla anche nei suoi derivati epigoni, quelli che avvertono paure in un’atmosfera “fin de siecle”, senza, però, riuscire a coltivare un’idea di prospettiva. Ovvero oggi Putin è la sintesi finale del fallimento comunista in salsa capitalista, laddove la tecnica afferma la viltà dell’uomo in via di esaurimento.
Mentre Zelensky è l’attore, da un passato minimo, che, in una pura rappresentazione cinematografica, racconta il vissuto in una serie tv. Questo è il passaggio che corrisponde a un periodo avvertito dai suoi protagonisti come l’espressione del crollo di un sistema di valori e di un modello di vita, e, allo stesso tempo, come l’alba di una nuova epoca, che ci appare surreale perché inavvertita e subdola, in cui si mischia ignoranza e delirio, mediocrità ed ipertrofia dell’io, insomma l’estinzione della politica.