Fare l’ermeneutica del pontificato di papa Francesco mentre ancora esso è in pieno svolgimento è un compito estremamente difficile, forse impossibile. Date le caratteristiche della personalità del papa argentino, poi, che è ben diversa da quella dei suoi predecessori, il suo appare come un pontificato “sui generis” non facilmente riscontrabile nel passato, e non sovrapponibile con gli altri papati…
di ANDREA FILLORAMO
Fare l’ermeneutica del pontificato di papa Francesco mentre ancora esso è in pieno svolgimento è un compito estremamente difficile, forse impossibile. Date le caratteristiche della personalità del papa argentino, poi, che è ben diversa da quella dei suoi predecessori, il suo appare come un pontificato “sui generis” non facilmente riscontrabile nel passato, e non sovrapponibile con gli altri papati. Bisognerebbe, quindi, affidarlo al giudizio della storia che non può essere anticipato. Cercare, tuttavia, di individuare la direzione che esso prende, è questo un compito che si può assumere. Esso si basa sulla percezione di chi, da osservatore, riesce a percepire i numerosi cambiamenti che sono già avvenuti in questi ultimi tempi nella Chiesa e che sono sotto gli occhi di tutti, che indicano la discontinuità ma anche il filo che tiene unito papa Bergoglio con i suoi predecessori, particolarmente con Giovanni XXIII. Sono tanti, infatti, che vedono un nesso fra l’attuale papa e Giovanni XXXIII, considerato appena eletto un pontefice di “transizione”. Sì, di “transizione” dissero con ben altro tono e fine i suoi avversari, che inventarono la definizione di “papa buono”, sottacendo la vera ragione della scelta: la sua età avanzata, aveva il neo-papa allora 77 anni.
Con l’elezione di Papa Giovanni, avvenuta dopo il lungo e tanto controverso pontificato di Pio XII, si presumeva di poter contare su una sorta di breve interregno, giusto il tempo di costruire una candidatura di rilievo e invece Roncalli in pochissimo tempo rovesciò la chiesa cattolica come un calzino. Niente più formalità e immagini ieratiche di sé e, poi, una serie ininterrotta di fuori programma come le visite al carcere di Regina Coeli; il benvenuto all’americana – Jackie! – la moglie di Kennedy presidente USA in visita ai sacri palazzi; il famoso : “date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del papa” che trasformò il pontefice in un curato…
Chi ha una certa età ricorda bene che allora la chiesa viveva una sua primavera che in seguito, dopo Paolo VI che ha portato a termine il lavoro intrapreso dal predecessore, è stata travolta da un pontificato che, senza voler mettere in discussione la canonizzazione (non è questo assolutamente il nostro proposito) di Giovanni Paolo II, si allontanava dal modo di essere del papa bergamasco.
Ma il radicalismo di papa Giovanni non si fermò all’informalità, alla franchezza e alla semplicità dei rapporti; tra lo stupore dei suoi stessi consiglieri e le resistenze aperte della parte conservatrice della curia, indisse il Concilio Ecumenico Vaticano II; volle che vi partecipassero anche i laici, aprì alle altre religioni, e questo grandioso programma di rinnovamento della Chiesa culminò (11 aprile 1963) nella celebre enciclica “Pacem in terris”, indirizzata per la prima volta non solo ai cattolici ma anche “a tutti gli uomini di buona volontà” e ritenuta da tutti, anche dai non cristiani, come l’espressione migliore delle vie per alimentare le speranze di pace e di solidarietà di tutto il genere umano.
Fu messa negli archivi delle Nazioni Unite a New York. Queste brevi note sul papa Giovanni rimandano all’attuale papa proponendo analogie che occorrerebbe evidenziare, a partire dalla distinzione che papa Roncalli ha fatto tra l’errore e l’errante, il principio etico e di comportamento fatto proprio da papa Bergoglio. Mai papa Francesco dimentica l’illuminante definizione dell’errante fatta da papa Giovanni: “L’errante è sempre e anzitutto un essere umano, e conserva in ogni caso la sua dignità di persona; e va sempre considerato e trattato come si conviene a tanta dignità”.
Come negli anni ’60, anche oggi sono tanti che reagiscono davanti a questa definizione. La norma, ogni norma, per papa Giovanni come per papa Bergoglio non ha alcun valore se, rimanendo astratta non diviene scelta e obiettivo che il soggetto consapevolmente sceglie e fa sua. Quanti oggi ascoltano il papa attraverso la televisione o anche dalla Piazza S.Pietro che appare sempre affollata! I suoi “uditori” sono aumentati a vista d’occhio come se il vescovo di Roma fosse una star e a essi il papa non si rifiuta di rivolgersi. Egli sa bene che l’educazione cristiana per molti di loro è rimasta sul fondo ed è effetto di una predicazione prescrittiva-esortativa che ripete luoghi comuni, contiene adempimenti e devozioni rituali mentre essi necessitano di risposte articolate ai problemi posti dall’esistenza.
Egli sa ancora che tanti che lo ascoltano si sentono appartenenti a una Chiesa sentita lontana da loro, una Chiesa assertiva, ripiegata su sé stessa, funzionale a chi teme il cambiamento e non legge i segni dei tempi. Papa Francesco è un vescovo che vuol far intravedere un cristianesimo non più arcigno, ma con una dimensione spirituale non più canonica ma evangelica.
Egli sa che molti preti, vescovi e cardinali sono lontani da questa “mission” che il papa vuol dare alla Chiesa! Sa inoltre che essi curano assiduamente l’esigua minoranza dei praticanti con messaggi misticheggianti e si lasciano assorbire dalle strutture della supplenza ma non sentono, ancora, come vorrebbe il papa, l’odore delle pecore. Non parliamo poi dei preti, vescovi e cardinali che si professano o sono nemici di Bergoglio. Ci sono – lo sappiamo! – ambienti che remano contro, che vorrebbero che il papa lasciasse, che gettasse la spugna e quante forze ostili fatte da multinazionali, circoli finanziari, governi, mafia, terroristi islamici, trafficanti d’armi, prelati arraffoni e monsignori minacciati dal loro potere curiale!
A tracciare una mappa della geografia anti-Francesco è un giornalista dell’Avvenire, Nello Scavo, che ha scritto un libro, “I nemici di Francesco. Chi vuole screditare il Papa. Chi vuole farlo tacere. Chi lo vuole morto” (Piemme). Già nei primi mesi di pontificato apparve chiaro che per la gendarmeria vaticana proteggere il Papa sarebbe stato un bell’impegno. Non solo perché Francesco cerca il contatto diretto con la gente, si getta nella mischia, tra la folla, per abbracciare anziani e ammalati, salendo e scendendo dalla papa mobile. Le minacce sulla sua sicurezza sono diverse. “Più gli intenti di Francesco – scrive Nello Scavo – si fanno decisi, più i lupi tornano a fare branco.
I pretesti sono i più svariati, dal dibattito sul sinodo per la famiglia alla difesa dei valori non negoziabili. Del resto i lupi sanno che possono contare su una nutrita schiera di intellettuali, giornalisti ed esponenti politici pronti a dare man forte alla strana alleanza degli antipapisti”. È cosa certa: papa Francesco non demorde nel suo impegno di rinnovamento.
Chiede alla chiesa un mutamento, una conversione da attuare senza paure e smarrimenti ma con gioiosa e grande speranza. Le tracce per questo cammino sono quelle date nella “Evangelii gaudium”, all’inizio del suo pontificato: sì, ci sono ancora molte resistenze e sordità ma il papa continua a scuotere i cattolici con una forza e una convinzione che a volte sconcerta e crea opposizioni, perché è la forza stessa del Vangelo.