Il viaggio apostolico di Papa Francesco dal 28 al 30 aprile scorso in Ungheria ha offerto diversi e è ricchi spunti di riflessioni su tanti aspetti della realtà odierna. Ho fatto una ricerca in internet per leggere e vedere i passaggi più importanti di questa importante visita. Ho trovato e visto diversi filmati sul sito di “VaticanNews.va”, ma ho letto anche qualche commento dai vari blog. Papa Francesco in questo viaggio apostolico ha fatto discorsi importanti e sicuramente molto lontani dal “politicamente corretto”, ecco perché i nostri media nazionali hanno dato poca rilevanza. Papa Francesco ha parlato alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico, ai giovani e alla Chiesa ungherese.
II Papa ha ribadito la nobile bellezza della tradizione cristiana ungherese e condannato il gender e l’aborto, ringraziando le autorità per le politiche a favore di vita e famiglia. Provo a sintetizzare i discorsi di questo importante viaggio facendomi guidare da Marco Invernizzi.
Diversi e tutti importanti sono stati i suoi discorsi, come quello alla Chiesa ungherese e quello ai giovani e agli uomini di cultura. Inizio col primo discorso rivolto alle autorità civili, che sono molto contestate in Europa perché non allineate con l’ideologia politica della Commissione dell’Unione Europea.
Il Papa ricorda la rivolta di Budapest del 1956, degli ungheresi che a mani nude affrontarono i carri armati dell’Unione Sovietica. Una rivolta che ancora oggi rappresenta un motivo identitario per tutti coloro che hanno combattuto contro l’orso sovietico. “Quegli uomini e quelle donne – precisa Invernizzi – che hanno versato il proprio sangue in quei giorni, e i tantissimi che furono costretti a fuggire nell’Europa libera, hanno compiuto un atto d’eroismo e un sacrificio che non si è rivelato inutile, tanto che ancora oggi è capace di evocare onore e rispetto per l’eroismo di quel popolo che si ribellò contro il socialismo reale”.
Inoltre Papa Francesco ha anche ricordato il grande arcivescovo primate di Ungheria, che fu il principale testimone di quei giorni: «Desidero far memoria del Cardinale Mindszenty (1892-1975), il quale credeva nella potenza della preghiera, al punto che ancora oggi, quasi come un detto popolare, qui si ripete: “Se ci saranno un milione di ungheresi in preghiera, non avrò paura del futuro”». Poi ha ricordato il genocidio degli ebrei a opera del nazionalsocialismo, un evento che colpì direttamente l’Ungheria e la sua capitale, e poi ha evocato l’errore del nazionalismo che compromette la pace, la quale «non verrà mai dal perseguimento dei propri interessi strategici, bensì da politiche capaci di guardare all’insieme, allo sviluppo di tutti: attente alle persone, ai poveri e al domani; non solo al potere, ai guadagni e alle opportunità del presente».
Sembra che la stessa politica “abbia come effetto quello di infiammare gli animi anziché di risolvere i problemi, dimentica della maturità raggiunta dopo gli orrori della guerra e regredita a una sorta di infantilismo bellico”, afferma Francesco.
Qui il Papa nell’ex monastero nel complesso del Palazzo Sándor, di fronte al presidente della Repubblica Katalin Novák e il primo ministro Viktor Orbán dinanzi a circa 200 persone, eleva il suo‘grido’ di pace, contro “i solisti della guerra”, con voce flebile ma ferma, che riverbera dalla “perla del Danubio” fino ai confini dell’Ucraina, con la quale l’Ungheria condivide 135 km di terra. Il Papa guarda a questa terra da oltre un anno aggredita, ma amplia lo sguardo a tutta l’Europa, richiamandone la storia e la vocazione alla fraternità. “Nel dopoguerra l’Europa ha rappresentato, insieme alle Nazioni Unite, la grande speranza, nel comune obiettivo che un più stretto legame fra le Nazioni prevenisse ulteriori conflitti”.
Per superare l’ideologia nazionalista che ha provocato le due guerre mondiali e rischia di riaprire antiche ferite anche oggi, con la guerra in Ucraina, Francesco ha ricordato il sogno di un’Europa delle persone e dei popoli con queste parole: «In questo frangente storico l’Europa è fondamentale. Perché essa, grazie alla sua storia, rappresenta la memoria dell’umanità ed è perciò chiamata a interpretare il ruolo che le corrisponde: quello di unire i distanti, di accogliere al suo interno i popoli e di non lasciare nessuno per sempre nemico. È dunque essenziale ritrovare l’anima europea». L’anima europea affonda nelle radici cristiane, che hanno garantito tanti decenni di pace e aiutato i popoli europei a crescere e progredire.
Inoltre il Papa ha parlato contro il relativismo fluido, ricordando il delirio dell’ideologia gender e l’ingiustizia dell’aborto: «Penso dunque a un’Europa che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali, ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli. È questa la via nefasta delle “colonizzazioni ideologiche”, che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato “diritto all’aborto”, che è sempre una tragica sconfitta».
Inoltre, ha voluto ricordare i santi ungheresi come modello, perché «la storia ungherese nasce segnata dalla santità, e non solo di un re (santo Stefano il primo Re ungherese), bensì di un’intera famiglia: sua moglie, la Beata Gisella, e il figlio sant’Emerico». E ancora «sant’Elisabetta, la cui testimonianza ha raggiunto ogni latitudine. Questa figlia della vostra terra morì a ventiquattro anni dopo aver rinunciato a ogni bene e aver distribuito tutto ai poveri». E poi ancora, il Papa ricorda «san Ladislao e santa Margherita, e (…) certe maestose figure del secolo scorso, come il Card. József Mindszenty, i Beati Vescovi martiri Vilmos Apor e Zoltán Meszlényi, il Beato László Batthyány-Strattmann».
Infine, il Papa ha ricordato l’accoglienza dello straniero che dà forza al proprio Paese: «In tal senso Santo Stefano lasciava al figlio straordinarie parole di fraternità, dicendo che “adorna il paese” chi vi giunge con lingue e costumi diversi. Infatti – scriveva – “un paese che ha una sola lingua e un solo costume è debole e cadente. Per questo ti raccomando di accogliere benevolmente i forestieri e di tenerli in onore, così che preferiscano stare piuttosto da te che non altrove” (Ammonimenti, VI). È un tema, quello dell’accoglienza, che desta tanti dibattiti ai nostri giorni ed è sicuramente complesso. Tuttavia per chi è cristiano l’atteggiamento di fondo non può essere diverso da quello che santo Stefano ha trasmesso, dopo averlo appreso da Gesù, il quale si è identificato nello straniero da accogliere (cfr Mt 25,35)».
Queste le parole più significative di Papa Francesco in uno dei suoi discorsi pronunciati in Ungheria (quello che riguarda le autorità civili). Bisogna notare come non abbia pronunciato nessuna parola di condanna nei confronti della classe politica che governa l’Ungheria e, al contrario, la abbia ringraziata per le politiche a sostegno di vita e famiglia e abbia anche avuto parole entusiastiche per la grande tradizione del Paese, cristiana ed europea. Teniamolo presente e ricordiamolo a tutti quelli che sono sempre alla ricerca di scandali e divisioni per danneggiare la Chiesa e la sua missione.
a cura di DOMENICO BONVEGNA