Durante questi giorni di soffocante calura, mentre riposiamo dalle fatiche e dallo stress accumulati in tanti mesi di lockdown e ci auguriamo di non ripiombare in “zona gialla”, la Chiesa italiana si prepara a intraprendere il cammino sinodale, voluto da papa Francesco e fatto proprio dalla CEI.
Sappiamo che l’apertura del Sinodo avrà luogo a Roma il 10 ottobre p.v. e che eco del medesimo sarà la celebrazione, nelle varie diocesi, la domenica successiva. Di certo, è questo tempo di speranza, di confronto, ma soprattutto di preghiera, in attesa che la Segreteria generale del Sinodo prepari il Questionario e il Vademecum per la consultazione nelle chiese locali.
Proprio nel microcosmo delle singole realtà evangeliche sparse sul territorio si pensa e si comincia ad operare al fine di costituire le varie Commissioni diocesane per mediare i testi ufficiali e articolare significative attività di “ascolto”, “ricerca” e “proposte”.
Conosciamo già il tema del Sinodo: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. Il concetto di comunione ha insito in sé gli altri due, ovvero comunione è partecipazione reale al banchetto sacrificale, in cui il Cristo è presente, e si fa mandato nella vita concreta del credente, in quanto pane spezzato con i fratelli nella missione umana e cristiana, a cui singolarmente ognuno è chiamato. A tal proposito, corre leggero il pensiero del Cardinale Grech, il quale, nell’intervista rilasciata al giornalista Andrea Tornielli su Vatican News il 21 maggio 2021, intervista facilmente reperibile sul Web, sottolinea come la prima e più grande novità di questo Sinodo sia la trasformazione di esso da evento in processo:
“Il Papa insiste tanto sull’ascolto del sensus fidei del popolo di Dio. Si può dire che è questo uno dei temi più forti del pontificato attuale. Non si tratta di democrazia, di populismo o qualcosa del genere; è la Chiesa ad essere popolo di Dio, e questo popolo, in ragione del battesimo, è soggetto attivo della vita e della missione della Chiesa”.
Pertanto, in questa sede il tentativo è quello di creare un collegamento univoco tra la tematica del Sinodo e l’itinerario diocesano, svolto in stile sinodale, circa la proposta delle Unità Pastorali.
Tale percorso, a mio avviso, si pone entro il solco sinodale, in quanto ha coinvolto nelle varie consultazioni sia gli organismi di partecipazione (consiglio pastorale e presbiterale) sia le quattro zone pastorali con gli incontri vicariali (clero) e le assemblee (clero e laici).
È sufficiente riprendere in mano le tre schede contenenti le domande alla luce della nuova riflessione
- biblica
- ecclesiologica
- catechetica
per ripassare da un lato le ricchezze e la profondità dei contenuti e, dall’altro, l’aspetto e la natura delle provocazioni.
Qualcuno potrebbe pensare: visto che già è stata fatta una buona parte del lavoro, possiamo rimanere a braccia conserte e attendere – come distratti spettatori – che la macchina organizzativa diocesana presenti con la riunione pre-sinodale i contributi alla CEI. Mi auguro che in nessun membro del Popolo santo di Dio vi sia alcun segno di ammutinamento davanti al compito che richiede la collaborazione della comunità ecclesiale. Anzi, cominciando proprio dal tema e dai contributi ufficiali fin qui apparsi, ogni cristiano deve sentirsi coinvolto e per nulla escluso, anche se solo alcuni potranno fare parte delle varie commissioni direttamente interessate.
A conferma, il Card. Grech afferma: “La sinodalità è la forma che realizza la partecipazione di tutto il popolo di Dio e di tutti nel popolo di Dio” (il corsivo è mio).
Al di là delle ricadute ecclesiologiche di simile espressione, penso che la stessa possa essere rivisitata, riprendendo quanto scrive papa Francesco: “Il tutto è più delle parti” (EG, 235).
La stessa affermazione diviene il trait -d’union che rilancia, anche in questo àmbito, il discorso sulla ricchezza della diversità territoriale e della pertinenza delle varie strategie all’interno delle U.P., parametro che deve essere valutato secondo la metafora del “poliedro”, “che a differenza della sfera riflette la confluenza di tutte le parzialità” (EG, 236). Tale immagine è scelta dal papa per descrivere l’articolazione della comunità, tanto che in essa “sono inseriti i poveri, con la loro cultura e i loro progetti e le loro potenzialità. Persino le persone, che possono essere criticate per i loro errori, hanno qualcosa da apportare che non deve essere perduto” ((EG, 236).
Tale intuizione diventa profezia, proprio nel territorio nel quale si incarna la Chiesa e la sua storia. Tutto questo è dono di Dio. Ciò significa che i cristiani lo considerano come una “eredità” che non può essere dilapidata, trasformandola in elemento di potere, ma piuttosto una nuova “Galilea delle genti” (Mt 4, 12s). Questa “impostazione” è la bussola dello spazio geografico territoriale delle Unità Pastorali. Il territorio, poi, avrà molteplici significati spirituali, di cui alcuni direttamente collegati alla ricchezza e all’arte dei luoghi, altri alla bellezza ed al preziosismo d’animo dei cristiani che lo abitano. In una battuta, potremo dire che proprio il Territorio delle U.P., seppur diversificato secondo i luoghi e le circostanze, è ricco di memoria e di potenzialità, comprese quelle spirituali, che devono mediare l’annuncio, a partire dai lontani, e lasciare arrivare il Regno di Dio.
Papa Francesco, suggerendo la metafora del poliedro per cogliere la natura della comunità, mette in guardia da una “omogeneizzazione ecclesiale” (a tutti i livelli: diocesano, parrocchiale…) e sprona a dare diritto di cittadinanza all’originalità di ogni porzione (nel nostro caso, ogni comunità parrocchiale) per arricchire la “totalità” dell’annuncio evangelico, per una “chiesa tutta intera”.
Immagino i dubbi e i problemi che tale affermazione sta creando e gli inevitabili interrogativi che potremo così sintetizzare: l’unità della liturgia, della visione della fede e della pastorale delle comunità come deve essere vissuta e mantenuta?
La risposta corre veloce: in un’altra modalità, rispetto all’immagine inglobante “della sfera, ove ogni punto è equidistante dal centro e non vi sono differenze fra un punto e l‘altro” (EG, 236). In tale percorso l’unità, di cui sopra accennavo, si esprimerà sotto forma del mantenimento della comunione fra tutte le componenti particolari della Chiesa, che si riflettono in essa in maniera ogni volta originale.
Una prima conclusione, che diviene preludio per il cammino sinodale, è semplice e immediata: il ruolo del governo pastorale (vescovi, presbiteri, diaconi…) non sarà più di mettersi al posto del “tutto”, ma di mantenere questa comunione e l’articolazione fra le parti e il “tutto” che nessuno possiede, che per papa Francesco è “il poliedro ecclesiale”.
Secondo la felicissima intuizione di Christoph Theobald “è precisamente a questo posto di un non possesso costitutivo che si situa la sinodalità ecclesiale valorizzata da papa Francesco durante la commemorazione del 50° anniversario del Sinodo dei Vescovi” diversamente “la Chiesa rischia di riprodurre semplicemente i riflessi dell’omogeneizzazione del territorio […] Ora, è lo stile sinodale la quasi identificazione fra Chiesa e sinodalità” (URGENCES PASTORALES, Bayard, Montrouge Cedex,2017, 125-125).
Cosa dovremmo fare, quindi, per armonizzare il cammino sinodale con la scelta delle U.P.?
Per rispondere, provo a fare da cassa di risonanza alla “Carta d’intenti” redatta dalla CEI durante la 74a Assemblea generale (24-27 maggio 2021) proprio per avviare il cammino sinodale.
In estrema sintesi:
- dare il primato alle persone più che alle strutture;
- promuovere il confronto e l’incontro tra le generazioni, la corresponsabilità di tutti i soggetti;
- valorizzare le realtà esistenti;
- avere il coraggio di “osare con libertà”;
- tagliare i rami secchi;
- incidere su ciò che serve realmente o va integrato/accorpato.
Il discernimento dei pastori si fa su ciò che è emerso dall’ascolto del popolo di Dio. (Card. Grech)
Auguro a tutti un sereno periodo di distensione e riposo,
Ettore Sentimentale
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