Il patto dell’acqua: più di una saga famigliare
I motivi per leggere Il patto dell’acqua di Abraham Verghese sono molti, moltissimi. Saga famigliare e insieme evocazione luminosa di un’India in cammino verso la sua trasformazione politica e culturale, rappresenta la celebrazione di un popolo antico immerso in una natura ancora prepotente. Elencare tutti i pregi di un libro-mondo di tale straordinaria potenza, un libro che custodisce tutti gli eventi preziosi dell’esperienza umana, è difficile. Ma mi piacerebbe illuminarne uno in particolare, non perché mi abbia colpito più di altri, ma perché rappresenta a mio avviso la perfetta metafora per spiegare le intenzioni dell’autore. Si tratta della presenza dell’elefante Damodaran. Persino il Los Angeles Times invita i lettori a immergersi in questo romanzo per il Kerala e a restare per l’elefante devoto.
L’elefante Damodaran
Quando la giovanissima protagonista del romanzo – scopriremo il suo vero nome soltanto a pagina 464 –, arriva nella casa del marito, molto più grande di lei, non sa cosa l’aspetta. Una mattina all’alba viene sorpresa da una strana presenza: «su di lei incombe un gelsomino sradicato, saldamente tenuto dalla proboscide di un elefante. I fiori ondeggiano nell’aria, poi le si fermano davanti. Sente sul volto un respiro antico, caldo e umido. Minuscoli frammenti di terra le cadono sul collo. La paura svanisce. Esitando, allunga una mano per accettare il dono». Lei segue l’elefante e lo ritrova in una radura. «Sembra una montagna, poi delle orecchie che si agitano languidamente… una statua scolpita nella nera pietra della notte. L’elefante è vero e reale, non è un fantasma». Fino ad allora aveva visto elefanti venerati nei templi e coccolati, elefanti per il trasporto di legname che attraversano pesantemente i villaggi diretti alla foresta. Ma questo elefante che sembra nascondere le stelle è di sicuro il più grosso che abbia mai visto. Poi nota, vicino all’elefante, un uomo che dorme su una branda di corda. Dall’intelaiatura di legno incurvata sporgono i gomiti e le ginocchia di suo marito. Nella postura del suo robusto braccio sinistro, piegato per fargli da cuscino, e nelle dita della mano strette l’una all’altra scorge il riflesso dell’ospite inatteso che le ha appena offerto il gelsomino.
L’amore e la gentilezza vincono sulla violenza
Pur essendo un romanzo ricco di avvenimenti tragici, alla fine al lettore resta questo: «una prosa sorretta da una profonda e coerente architettura morale dell’animo umano» (New York Times), che non dimentica mai «che l’amore e la gentilezza d’animo possono vincere sulla violenza» (Los Angeles Times).