di ANDREA FILLORAMO
Scriveva Eraclito: “Polemos (la guerra) è padre di tutte le cose, di tutte le cose è re; gli uni disvela come dei e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi gli altri liberi”.
La guerra – afferma il filosofo greco – ci accompagna sempre. Mai, quindi, ci sarà tregua nel mondo. Ed è proprio fino ai nostri giorni proprio così. Non ci sono, infatti, luoghi in cui non ci siano guerre, violenze, distruzioni e morte. Basta vedere quello che succede nella Striscia di Gaza, in Ucraina, nello Yemen, nell’Afghanistan, nel Kurdistan, nel Myanmar, in una buona parte dell’Africa, nelle Regioni dell’America Latina e del subcontinente indiano.
Oggi non possiamo più fingere di non sapere quello che sta succedendo in ogni angolo del mondo, perché i riflettori dei media portano in casa le guerre, le sofferenze, i disastri e questo avviene ogni giorno, ogni ora, ogni sera in modo magari assillante.
Ci eravamo abituati alla malvagità e quello che accadeva lontano o vicino a noi pensavamo che fosse una storia che sostanzialmente non ci apparteneva. Adesso tutto o quasi tutto cade sotto i nostri occhi e – diciamo la verità – abbiamo paura che la guerra giunga fino a noi e, per questo, precipitiamo nella paura e un senso di impotenza, di immobilismo e di “congelamento emotivo” ci assale.
Intanto il conflitto obbligava ciascuno a mettere sui piatti della bilancia valori, emozioni, calcoli, che non sono e non potranno mai essere assoluti.
Ci chiediamo: Non è sempre meglio discutere che sparare, distruggere, uccidere? Perché si parla troppo di armi da dare, da vendere o da acquistare e poco si fa per costruire la pace? Una cosa sembra certa: “La pace – ciò vale per le nazioni, ma anche per le persone – non viene quando non ci sono disaccordi, ma quando si trova un modo di vivere insieme senza essere magari d’accordo, di cercare insieme la verità invece di usarla contro l’altro”.
La pace non è frutto di discorsi, ma di scelte concrete e azioni politiche. Essa costa, richiede dialogo, buone regole economiche, giustizia sociale, sostenibilità ambientale e soprattutto sincerità e fraternità. Senza questi investimenti sarà sempre solo tregua, un intervallo tra guerre. Sì, la pace costa, ma rende possibile il futuro. Purtroppo, di questo, nel corso degli anni ce ne siamo dimenticati, altri sono stati i nostri investimenti.
Ormai non possiamo fare finta che la guerra non stia cambiando il mondo e che non stia cambiando profondamente ognuno di noi. A noi e, particolarmente ai giovani, è dato il compito di costruire non più solo il nostro Paese, ma anche il mondo che dovrà essere libero, pacifico e giusto.
“Dobbiamo tutti, in questo tempo segnato dagli orrori della guerra, portare nella vita di tutti i giorni gesti di pace, di riconciliazione nelle relazioni spezzate e di compassione verso chi è nel bisogno, di giustizia in mezzo alle disuguaglianze, di verità in mezzo alle menzogne”.
Da rammentare che nulla in realtà possediamo. Quello che crediamo di possedere appartiene a tutti e deve essere goduto e conservato solo se condiviso e goduto anche dagli altri, amici e nemici, vicini o lontani, Ucraini e Russi, Israeliti e Palestinesi, bianchi o neri, oriundi e immigrati.