Questo è il momento della vergogna

di ANDREA FILLORAMO

“Questo è il momento della vergogna”. Così Papa Francesco ha commentato i risultati di una Commissione indipendente (CIASE) che ha accertato come nella Chiesa francese, negli ultimi 70 anni, tra i 2.900 e i 3.200 sacerdoti hanno abusato sessualmente di almeno 216 mila vittime.

La pubblicazione dei risultati dell’inchiesta ha destato scalpore non tanto per l’oggetto dell’indagine ma per le sue proporzioni confermate anche da altre inchieste e ricerche fatte in altri Paesi.

Si tratta di una vera e propria “strage degli innocenti”, che esige una consapevole espiazione da parte della Chiesa, che dovrebbe rispondere ad un’opinione pubblica non più disposta a tollerare le violenze e gli abusi del clero sui bambini e sugli adolescenti.

Non è più possibile per la Chiesa, continuare ad agire come nel periodo del papato di Giovanni Paolo Secondo, quando non si tollerava neppure che si parlasse o si accennasse al fenomeno della pedofilia clericale, che anche allora era molto vivo e si rendeva sempre più manifesto.

Non è possibile e lecito ancora tentare di archiviarlo, ritenendolo un fatto concernente solo alcuni preti, ritenuti “mele marce”, che si sarebbero infiltrati nelle fila del clero diocesano o religioso.

Non si risolve, altresì, questo grande problema nella Chiesa solo con il Motu proprio di Papa Francesco, che interviene anche duramente sui vescovi che insabbiano gli abusi sessuali operati dai preti, che li trasferiscono da una parrocchia ad un’altra o che li spediscono in luoghi segreti.

L’ho scritto più volte in questo giornale e in altri miei “lavori”: la pedofilia clericale non è sempre una malattia da curare con farmaci o con ausili psicologici, o allontanando fisicamente i preti pedofili dai minori.

Essa spesso o sempre nasce – e di questo la Chiesa deve rendersi conto – come scrive Marco Marzano: “dalla profonda immaturità sessuale e umana dei presbiteri, dalla formazione degli aspiranti sacerdoti che si svolge, per quel che riguarda i fattori affettivi e sessuali, tutta all’insegna della colpa, del rimorso, dell’inadeguatezza rispetto all’ideale e mai a quella di una crescita armonica ed equilibrata della personalità.  Il risultato è una spiccata immaturità sessuale rispetto al resto della coetanea popolazione maschile, un grave ritardo nello sviluppo di un sano e fisiologico rapporto con il desiderio sessuale e la corporeità e una sistematica associazione del piacere sessuale alla mancanza e al peccato”.

Il disastro sessuale al quale stiamo assistendo che non è solo dato dalla pedofilia, ha delle radici molto antiche e nasce dalla dottrina della sessualità fatta propria e tramandata da S. Agostino, per il quale il sesso è la fondamentale fonte di peccato, anzi la sessualità è la stessa essenza del peccato originale (ex hoc vitio peccatum originale), con il quale nasciamo, è il “vulnus” che da Adamo e Eva, possiamo solo in parte sanare e del quale l’umanità tutta si deve vergognare.

È assurdo che ancora oggi si pensi o si faccia pensare con Agostino che la sessualità e quindi il sesso sia disgustoso in quanto “inter faeces et urinam nascimur”.

Ma non è stato solo S. Agostino a sostenere tale tesi; è stata tutta la predicazione patristica che fece precipitare la morale cristiana in una satanizzazione del sesso destinata a cancellare o emarginare le istanze di amore, di fratellanza e di tolleranza umana che costituiscono l’apporto rivoluzionario del messaggio cristiano alla storia della civiltà.

Da allora il rapporto tra la fede e la sessualità ha coinvolto sempre la morale sessuale, intesa non tanto come parte del sentimento generale comune a tutti, ma preminentemente come l’insieme delle restrizioni morali religiose o obblighi che regolano il comportamento sessuale umano.

  1. Gerolamo (347 – 420) per esempio, descrive il suo lancinante desiderio sessuale in una lettera alla vergine Eustochia, sua discepola e scrive: “Le mie membra erano ricoperte solo da un sacco lacero. Il mio corpo straziato giaceva sulla nuda terra. Eppure io, che per timore dell’inferno mi ero condannato a quei tormenti e alla compagnia degli scorpioni, mi vedevo in mezzo a donne lascive e il fuoco della lussuria divampava nel mio povero corpo ridotto quasi in fin di vita”.

Ricordiamo anche S. Bernardo (1090 – 1153), che tentava di esorcizzare la sua divorante libidine scrivendo: “Se consideri attentamente quello che fuoresce dalla bocca, dal naso e dagli altri orifizî del corpo umano, ti accorgi di non aver mai visto letamaio più repellente … L’uomo è soltanto sperma fetido, ammasso di sterco, cibo di vermi …».

Come facilmente possiamo capire, si tratta di un delirio sessuofobico che non fu di certo limitato al cristianesimo medievale, ma esso ha attraversato come un filo rosso tutta la storia del cristianesimo, sia quello riformato che quello cattolico, e trova ancora nell’era contemporanea espressioni sconvolgenti.

Basterà un esempio particolarmente illustre. Si tratta di S. Maria Margherita di Alacoque (1647-1690). Questa santa, conforme a una tradizione multisecolare, in un impressionante crescendo di masochismo, per fugare le tentazioni, si inflisse penitenze sempre più atroci. Cominciò la sua vita monastica imponendosi di bere soltanto una volta la settimana, ed esclusivamente la risciacquatura dei piatti del convento; poi s’incise sul petto, con un coltello, il nome di Gesù, ribadendo l’atroce tatuaggio, che rischiava di cicatrizzarsi troppo rapidamente, con la fiamma d’una candela; o ancora, molte altre cose che non riferisco per non turbare la sensibilità dei lettori. Basta leggere il suo Diario (pubblicato nel 1915 con una prefazione del papa dell’epoca, Benedetto XV, che additava in Margherita un modello per tutti i cristiani).

Nessuno oggi cerca fortunatamente di seguire l’esempio di questi Santi, tuttavia molti non riescono a distaccarsi da quella visione, che in modo anche latente condiziona il comportamento sessuale di tutti i cattolici ma in modo particolare condiziona i preti, obbligati al celibato, antico retaggio di una dottrina superata dal tempo mai totalmente abbandonata dalla Chiesa.