La bocciatura della sentenza della corte d’Appello di Roma da parte della Cassazione (9691 del 2022 – 1), che aveva previsto la condanna di una madre alla perdita della responsabilità genitoriale, in pratica togliendole ogni possibilità di rapporto con il figlio, è stata accolta da una vivacissima ondata di commenti trionfalistici, nella grande maggioranza dei casi fuori luogo.
Certamente, guardando le cose sotto il profilo del caso specifico, ossia dal punto di vista di quella madre, l’ordinanza della Suprema Corte è fondamentale. Le cambia la vita. Ma non è questo il punto. I commenti si sono sbizzarriti nell’inneggiare a un definitivo accantonamento di una teoria, la cosiddetta Sindrome di alienazione genitoriale (PAS). Anzi, non solo di quella teoria, ma di qualsiasi corollario che con essa abbia una qualche attinenza. L’equivoco nasce essenzialmente dal confondere il modo in cui si arriva a certe conclusioni con le conclusioni stesse. Ciò che la Cassazione respinge è il tipo di ragionamento fatto dagli organi decidenti, non la conclusione alla quale sono arrivati, alla quale si poteva anche giungere, ma per altra via. Evitando in questa sede qualsiasi forma di tecnicismo, può essere sufficiente esplicitare che viene rifiutato un procedimento logico del tipo: “Siamo di fronte a un caso di alienazione genitoriale. Quindi il figlio/la figlia è in condizioni di estremo pericolo. Quindi deve essere eliminato il genitore alienante”. Ovvero la sanzione è stata comminata in funzione della diagnosi, e non dei comportamenti. Tutto ciò che la Cassazione sostiene, e a buona ragione secondo chi scrive, è che si deve fare attenzione ai fatti concreti e sulla base di quelli – e solo di quelli – assumere le conseguenti decisioni. Lasciando, pertanto, da parte teorie che, come la PAS, non hanno alcuna credibilità scientifica. Il che non vuol dire negare che esistano comportamenti inappropriati, che tendono a discreditare ed emarginare uno dei genitori e a tagliarlo fuori dalla vita dei figli. Si deve solo fare attenzione ad evitare di esprimersi in forma apodittica, ponendo la propria diagnosi a fondamento dei suggerimenti dati al giudice.
E su questo punto la Suprema Corte si esprime drasticamente, in un modo che rende sorprendente l’entusiasmo con cui il provvedimento è stato accolto dalla maggior parte degli psicologi e, in particolare, dei soggetti chiamati a condurre consulenze. La Cassazione, infatti, non nasconde una profonda diffidenza verso un’attività alla quale non riconosce granché di scientifico. Le considerazioni degli psicologi vengono ritenute di scarso fondamento, opinabili, fumose, non verificabili: in sostanza, inaffidabili. A un punto tale da dubitare e mettere in crisi un po’ tutto il lavoro che la categoria svolge in collaborazione con i tribunali. Ad esempio procedendo all’ascolto indiretto dei figli, che pure viene correttamente messo in discussione dalla Suprema Corte.
C’è stato, dunque, un grosso malinteso, che a chi scrive pare molto evidente, sull’utilizzazione di teorie come la PAS, sulla quale la Cassazione non fa che ribadire concetti già espressi e del tutto condivisibili (non a caso il provvedimento è costellato di rinvii a precedenti decisioni).
A questo equivoco, tuttavia, se ne deve aggiungere un secondo, forse ancora più pesante. Nel caso specifico sono state riconosciute a quella madre una serie di qualità virtuose che conducono a una sua riabilitazione pressoché completa. Del che siamo tutti felici. Ma ciò non comporta una automatica assoluzione per tutte le altre situazioni che, in generale, possono avere aspetti simili. La Cassazione è chiara: si dovrà valutare caso per caso.
Ancora più arbitraria è poi la lettura del provvedimento come una vittoria al femminile; peraltro diffusissima. Al di là di evidenti violazioni della Costituzione, che la Suprema Corte si guarda bene dal compiere, la lettura di genere non corrisponde affatto al vissuto. Il genitore rifiutato può essere abbastanza spesso la madre. Due indagini indipendenti hanno fornito lo stesso risultato quantitativo: il 20% circa dei casi, uno su cinque. Tutt’altro che trascurabile.
Resta quindi da chiedersi, in definitiva, quale può essere stata la molla della trionfalistica accoglienza che ha avuto la decisione della Cassazione, accompagnata da conclusioni non pertinenti e decisamente fuorvianti. Secondo una ragionevole ipotesi si è trattato di motivi ideologici, alimentati da interessi politici. Peccato. Perché la materia è delicatissima e certe interpretazioni ispirate alla moda del momento, ma provenienti da fonti di per sé autorevoli, possono risultare decisamente pericolose, o quanto meno altamente deludenti, proprio per quei soggetti più deboli, sulla vita dei quali gli orientamenti della giurisprudenza vanno direttamente ad incidere.
1 – https://www.aduc.it/generale/files/file/newsletter/2022/marzo/sentenzaMassaro.pdf
Marino Maglietta, consulente Aduc