Invece di occuparmi delle troppe cianfrusaglie di cronaca socio-politica di questi giorni, cercherò di elevare il mio dilettantismo giornalistico con una figura eccezionale che ha sviluppato il senso della “carità” nella Chiesa e nel mondo. Mi riferisco a S. Vincenzo de’ Paoli, che si ricorda proprio oggi.
Una straordinaria figura vissuta nel XVII secolo, e che si è spenta proprio il 27 settembre 1660. Casualmente ho letto la sua storia nel V° Volume, “La Chiesa dei tempi classici”; Tomo I, “Il Grande secolo delle anime”, della monumentale “Storia della Chiesa del Cristo” di Daniel Rops, che ho trovato insieme ad altri volumi, presso la “bancarella” dei libri del Santuario della Consolata a Torino. Rops impiega 55 pagine (“Un costruttore della Chiesa moderna: San Vincenzo de’ Paoli”) per descrivere l’immensa opera di “Monsieur Vincent”, come lo chiamavano nella sua Francia. La Storia della Chiesa ma non solo, gli riserva un posto considerevole. “Iniziatore del senso sociale, in un epoca in cui finiva di rompersi la solidarietà della città, del comune e del feudo che durante il Medioevo consolava le miserie,[…] egli ha saputo associare tutte le classi in un unico sforzo per alleviare la miseria degli uomini, suscitando tante generosità individuali che la Francia ne è stata mutata”. S. Vincenzo è stato l’iniziatore dell’epoca moderna di quella numerosa schiera di Santi, che invece di affidarsi alle sirene di utopici progetti di solidarietà verso gli ultimi, si sono operati in prima persona, fondando associazioni, congregazioni di uomini e donne per risolvere le tante miserie umane presenti nel loro tempo. Vincenzo aveva ben saputo metterci l’umanità profonda, la vera carità aiutando veramente e concretamente gli uomini del suo tempo.
Era nato lontano da Chatillon, in un angolo della Francia, figlio di un povero contadino. Ben presto diventò uomo di chiesa, frequentando gli studi, anche quelli universitari. Ad appena vent’anni fu ordinato prete. E nella sua vita operosa, ha sfiorato la schiavitù, subendo perfino il sequestro da parte dei turchi che lo portarono a Tunisi per essere venduto, acquistato da un padrone, venne successivamente liberato. Rops scrive che ad un certo punto a cominciare dal 1610, misteriosamente, fu “invaso dalla santità”, aiutato da un aristocratico di nascita e di cultura, grande mistico, Pietro de Berulle, poi diventato cardinale. De Berulle, diventa il suo direttore di coscienza, il suo confessore, il suo modello vivente. Su consiglio del cardinale de Paoli diventa precettore dei tre figli del potente Filippo Emanuele de Gondi. Qui è rimasto ben otto anni, in questo periodo incontrò un altro uomo che lo avrebbe ulteriormente cambiato, il vescovo di Ginevra, S. Francesco di Sales. Nei mesi trascorsi a Parigi, con lui Vincenzo ebbe diversi colloqui. E parlò di tutto, della Fede, delle missioni, della direzione delle anime, della politica. S. Francesco divenne il suo nuovo maestro, dopo la sua morte, Vincenzo prese la decisione di operare nella società per dedicarsi interamente ai poveri. ”Taglierà tutti gli ormeggi che ancora lo tengono legato”. Trentacinque anni di operosità per gli ultimi di ogni genere. Colpisce la sua apertura spirituale. Non cerca affatto di brillare nella dialettica e nel gioco delle idee. Cercherà di trovare la soluzione a tutti i problemi che si impongono al suo tempo. Tuttavia, “è anche il contrario del sognatore, di un fabbricatore di sistemi; è preciso, realista; ha tutti e due i piedi sulla terra”. Una frase regola ogni suo atteggiamento: “Dio non ci chiede nulla che sia contrario alla ragione”. Vincenzo è il contrario del polemista, “impegnato nei più vivi dibattiti, vi conserverà sempre la misura, mostrandosi caritatevole con gli uomini di cui condannerà le tesi”.
Ama gli uomini, perché ama Dio, “nonostante le loro mediocrità e le loro miserie, che egli conosce meglio di ogni altro; Li ama proprio per esse”. Ama gli uomini perché ha preso sul serio i due primi comandamenti del Vangelo. Rops è un po’ polemico nei confronti di chi in Francia ha snobbato il Santo, collocandolo tra gli ignoranti, per tenerlo fuori dalla schiera gloriosa dei grandi spirituali. Senza dubbio S. Vincenzo, scrive Rops: “non ha arricchito di nuove concezioni la speculazione religiosa; non ha, come il suo maestro Berulle, dato l’avvio dottrinale a tutta una scuola: Non ha neppure pubblicato nulla di suo”. Ma il suo pensiero mistico e spirituale ha lasciato una impronta profonda. La sua dottrina unisce quella dei suoi maestri. Egli prepara il volto della Chiesa del futuro. Probabilmente il suo successore sarà S. Alfonso de’ Liguori. Tuttavia egli riassume un principio fondamentale, quello che S. Paolo ha formulato in termini insuperabili: “vivere in Cristo”. “Vivere la Croce, vivere la passione di Cristo, significa anche vivere il suo infinito amore per gli uomini”. A questo punto Rops elenca e descrive le sue grandi creazioni, a cominciare dalle Missioni. Essendo un frequentatore della Casa Gondi, ne approfitterà per intraprendere, “un’opera multiforme, le cui realizzazioni si collocheranno su ogni specie di piani, un’opera insieme sociale, morale, teologica, pastorale ed anche politica, la cui varietà sorprende non meno che l’ampiezza, la sola che potrà permettergli di portare a buon fine il suo temperamento di capo, servito da un vero genio organizzatore”. Vincenzo è della stessa razza dei santi fondatori come S. Benedetto, S. Domenico, S. Ignazio. Toccando con mano la miseria spirituale delle campagne francesi, crea in lui una esigenza di apostolato. Ecco allora l’esigenza delle Missioni, che si dovevano ripetere per essere veramente incisive. Anzi dovevano essere erette ad istituzione. “Ciò presupponeva quindi l’esistenza di squadre di sacerdoti che facessero della missione il loro scopo fondamentale”. Fu creata una Congregazione della Missione, per le spese immediate ci pensava madame de Gondi. Inoltre arrivarono donazioni di locali e di chiese. Ben presto questa compagnia di preti della Missione vengono chiamati anche Lazzaristi. Girano di villaggio in villaggio, vi passano da quindici giorni a un mese, predicando, parlando dappertutto. Attenzione, parlando in modo semplice; le prediche devono essere semplici, niente “eloquenza cattedratica”. Se si vogliono commuovere i curoi, bisogna parlare con tutto il cuore. Senza frasi oratorie, senza enfasi. Le Missioni furono fondamentali per il popolo, per farlo ritornare alla fede. Non solo ma anche nella Corte del re di Francia, Vincenzo mandò i suoi predicatori.
Vincenzo de’ Paoli era convinto che “dai preti dipende il Cristianesimo”. Santificare se stessi e portare la parola ai poveri. Per evangelizzare i popoli era necessario evangelizzare i suoi pastori. Troppi preti, specialmente nelle campagna vivevano a livello del loro popolo. “Molti erano pigri: ‘la pigrizia è il vizio del clero”. Questa decadenza del clero, tormentava l’anima sacerdotale di Vincenzo. Pertanto, si applicò alla riforma del clero, come voleva il Concilio di Trento. E il modo migliore per riformare è quello di istituire i seminari veri e propri, che non erano all’inizio simili a quelli dei nostri giorni. Tornando all’opera caritativa di Vincenzo de’ Paoli, bisogna ricordare anche le condizioni, letteralmente spaventose delle società di allora. Le guerre che avevano stremato la Francia, orde di soldati attraversavano le province in ogni senso, incendiando e saccheggiando. Poi c’erano le epidemie di ogni genere. “Il miracolo di Monsieur Vincent sta nel fatto che egli seppe tener testa a tutte le angosce provocate dagli avvenimenti e dall’incoscienza degli uomini […]Sapeva imporre certi sacrifici con tanta imperiosa dolcezza!”. Alla Regina, ad Anna d’Austria, che esitava ad offrire i suoi diamanti, replicava graziosamente: “una regina non ha bisogno di gioielli!”.Nascono quasi spontaneamente le Dame di Carità, per lo più appartenenti all’alta società, principesse, duchesse, che frequentavano la casa di madame de Gondi. Una di queste Dame di Carità si distinse tra tutte: Luisa di Marillac (1591-1660), giovane vedova di un modesto borghese, un’anima fervente che trovò nella carità la risposta ai suoi dubbi e alle sue angosce, un’intelligenza tutta virile. Fu lei ad avere l’idea di una nuova fondazione: Le Figlie della Carità. Una delle istituzioni che fanno più onore alla Chiesa, quelle che nelle ore più buie, ci impediscono di disperare. Le suore di quel tempo si concepivano chiuse in un convento o dietro una grata. S. Francesco di Sales, invece aveva concepito delle giovani consacrate che vivessero in mezzo al mondo, lavorando per Cristo e per la Chiesa. Fino allora, la carità era soprattutto opera dei chierici, di religiosi e di signore agiate. Ora comparivano delle figlie del popolo, di quelle “buone ragazze di campagna”. Vincenzo impiegò le “suore grigie” dappertutto anche nelle zone di guerra a fare le prime infermiere. Tuttavia Vincenzo nonostante desse più fiducia alle donne, diede spazio anche agli uomini, istituendo la prima “Confraternita di Carità per gli uomini”, antenata delle “Conferenze di S. Vincenzo”, sviluppate due secoli più tardi da Ozanam. Il nostro de’ Paoli si è occupato anche dei bambini cosiddetti “trovatelli”. In quei tempi feroci e desolati, un gran numero di madri abbandonano i loro bambini, per miseria o disperazione. Solo a Parigi sono migliaia. Si crea un’opera per loro e ci pensa Luisa di Marillac. Poi ci sono i mendicanti, mutilati di vari eserciti, vecchi abbandonati, uno stuolo numeroso. Poi ci sono i carcerati nelle prigioni anche a loro manda le sue Figlie della Carità. Arrivano a Monsieur anche donazioni anonime. Tutte queste opere che si moltiplicano, danno prestigio e il de’ Paoli, nonostante la sua modestia, assume un posto sempre più considerevole in tutta la Francia. Il re Luigi XIII l’aveva ammirato senza riserve, nota Rops. Alla morte del Re, la regina Anna d’Austria col piccolo Luigi XIV si trovò in difficoltà di fronte ai gravosi impegni della reggenza. Anna per essere consigliata chiamò Vincenzo. Una direzione spirituale non troppo facile per il sacerdote. Monsieur Vincent diventa una potenza, un personaggio pubblico di cui si conosceva la influenza, “una specie di ministro senza portafoglio incaricato di ciò che noi oggi chiameremmo l’assistenza pubblica e le questione sociali”. Anche se c’era il cardinale Mazzarino che non sempre accettava di relazionarsi con Vincenzo dè Paoli, che consapevole di aver una influenza considerevole a Corte, cercò di servirsene per allargare il campo della sua carità. Sostanzialmente si trattava di far trionfare Cristo e la Chiesa. Qualcuno l’ha chiamata la sua azione politica. Comunque sia, con “bonaria semplicità, come sempre, egli mise al servizio delle idee che gli stavano a cuore i suoi accresciuti mezzi d’azione”. Comunque scrive Rops, Vincenzo non confuse mai “la carità di Cristo con i metodi della burocrazia statale; per lui l’amore degli uomini non si distribuiva amministrativamente”. E tuttavia Vincenzo da buon ministro senza portafoglio della carità, non ignorava i suoi doveri di occuparsi degli aiuti alle popolazioni, alle province devastate dalla guerra. Si occupò dell’assistenza ai profughi. Rops accenna ad una lettera di luogotenente generale che dovrebbe essere pubblicata dai manuali di Storia. L’ufficiale sosteneva che senza il Santo, il Paese sarebbe morto di fame e lo supplicava di essere ancora “il Padre della Patria”. Ma Vincenzo de Paoli non si occupò solo delle opere di carità, ma di servire la carità di Cristo, attraverso la difesa della Verità e del messaggio di Cristo. Affrontò le gravi questioni dell’eresia del Giansenismo, sempre con ferma dolcezza e col rigore misto di misericordia. Affrontò con gli stessi metodi anche i “fratelli” protestanti. Tuttavia secondo Daniel Rops, è difficile dare un’idea di quello che fu l’irradiazione del santo negli ultimi quindici anni. Le sue opere si moltiplicavano e soprattutto si diffondevano in tutta la Francia, ma anche negli altri Paesi europei. Alla sua morte un intero popolo sfila davanti al letto dove giace il povero corpo logorato. Le sue reliquie sono contese, li reclamano il Papa, i santuari, i vari re.
DOMENICO BONVEGNA
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