Sembra che lo fanno apposta: ogni anno siamo qui a monitorare tutte le varie frasi, uscite, rappresentazioni, abbigliamenti, dei partecipanti al festival canoro di Sanremo. Non sto qui a fare l’inventario completo delle trasgressioni, delle provocazioni dei cantanti o degli ospiti con le puntuali e accese discussioni. Tuttavia rispetto agli anni precedenti è apparso un festival del politicamente corretto, nel quale si è voluto rappresentare “la banalità del male”, prendendo il titolo di un libro di Hannah Arendt.
Male per tutto quello che è stato evocato positivamente, come un bene a partire dal sesso libero, al poliamore, dal presunto razzismo degli italiani nei confronti della campionessa di colore Paola Egonu, alla legalizzazione della droga. Aggiungo qualche altro particolare, me lo ricorda Jacopo Coghe di Pro Vita & Famiglia, nell’ultima serata di Sanremo c’è stato l’episodio ripugnante e schifoso, trasmesso dalla Rai grazie ai soldi che noi siamo costretti a versare ogni anno col nostro canone. Coghe si riferisce a Fedez e il cantante Rosa Chemical hanno inscenato un rapporto anale tra il pubblico in sala con tanto di “bacio gay”. Inoltre, Chiara Ferragni si è presentata in scena con una collana a forma di utero, rivendicando l’aborto – cioè l’uccisione brutale di un bimbo inerme nel grembo materno – come un “diritto umano”. Inoltre Coghe nel messaggio ci invita a sostenere anche economicamente la campagna di Pro Vita & Famiglia iniziata durante lo svolgimento del Festival abbiamo noleggiato e fatto circolare per le vie di Sanremo due camion-vela con la scritta: Basta ideologia gender e propaganda LGBT sul servizio pubblico. Aboliamo il canone Rai!
Non varrebbe la pena occuparsi dello spettacolo orrido che offre il Festival, ma visto che ho la “pretesa” di comunicare qualcosa ai miei lettori e soprattutto constato, almeno da quello che ci comunica la Rai, gli alti dati di ascolto delle cinque serate, del Festival di Sanremo si deve parlare. Infatti, dai dati di ascolto, “viene quasi da sorridere pensando alle petizioni, agli appelli-grancassa social, alle campagne di boicottaggio proclamate dai santoni duropuristi della rete per invitare a non sintonizzarsi sulla televisione di Stato pur di non guardarne nemmeno uno spezzone”. (Gianluca Kamal, Sanremo 23, lo specchio della (sur)realtà, 13.2.23, destra.it) Se questa è la situazione, coloro che fanno politica hanno il dovere di interessarsi ai fenomeni, “reali”. Una nota particolare di Kamal, di cui sono pienamente d’accordo, si poteva evitare in mezzo a questo circo equestre la rievocazione del doloroso ricordo dei martiri infoibati. Un ricordo sporcato.
A Sanremo è il nuovo che avanza! E’ quella rivoluzione sessuale, nel 68 ancora alla fase di avanguardia e che ora ambisce a diventare fenomeno di massa? E ha buone speranze di diventarlo se 2 italiani su 3 sono rimasti incollati allo schermo in obbedienza ai dettami di mamma RAI.
Se sono veri i dati che hanno dato i dirigenti Rai, sull’ascolto e la visione di Sanremo 23, per Marco Invernizzi è preoccupante e non serve indignarci. Allora bisognerebbe impegnarsi per cambiare la cultura con quanto il festival ha espresso. E qui Invernizzi fa una riflessione importante: il cambiamento culturale non può provocarlo soltanto perché lo vuole un governo. Non scarichiamo sui governi quello che loro non possono fare, ammesso che lo vogliano fare veramente. Attenzione, un governo non può cambiare il cuore delle persone, neppure il loro modo di pensare. Certo un governo può favorire, non ostacolare quelle forze della società che vogliono educare al Vero, al Bello e al Bene. Come per certi versi ha detto riferendosi all’economia e alle imprese il presidente del Consiglio, ma può valere anche per l’attività culturale. Ritornando a Sanremo 23, scrive Diego Torre sulla sua pagina fb, “eppure tutto era iniziato così garbatamente, con la presenza impeccabile di Mattarella e le declamazioni elogiative della Costituzione in salsa antifascista fatte dal comico di corte”. La performance di Benigni nella serata d’apertura, riesumata la Costituzione “più bella”. Potremmo chiedere al super comico: “Dov’era Benigni mentre veniva sospesa?”. Due nostri quotidiani hanno usato l’espressione quasi simile sulla Costituzione: un “Inno alla libertà” e “Elogio della Libertà”.
“Messa così, la vicenda risulta piuttosto bizzarra e anche fuorviante. Ricordarsi della libertà, per lo più declinata nell’ambito di un programma di intrattenimento nazional-popolare, dopo quasi un triennio di dispotismo sanitario in cui i diritti individuali sono stati sospesi e sacrificati, suona assai beffardo”. (Gianluca Spera, La sinistra si aggrappa a Sanremo, il nuovo cineforum per rieducare gli italiani, 11.2.23, atlantico quotidiano.it)
Pertanto la kermesse sanremese, sotto la guida del cerimoniere Amadeus, pare che abbia inteso dare una precisa impronta pedagogica alle cinque lunghe ed estenuanti serate. A proposito del mite presentatore, non ha avuto difficoltà ad annunciare candidamente: ”Ai bambini va spiegato che esiste un uomo che ama un uomo e una donna che ama una donna, che è normale e che questo va portato ovunque, in televisione e nello spettacolo”. Chiaro? Ipse dixit!
Eppure l’operazione almeno da quello che hanno detto ieri sera a “Zona Bianca” non sembra destinata a produrre grandi risultati se, per recuperare i consensi perduti, l’universo radical-chic si affida ai banali monologhi degli influencer travestiti da maître à penser, alle lezioncine dei comici crepuscolari nel ruolo di costituzionalisti, ai sermoni dei rapper con toni da fustigatori.
Addirittura c’è un entusiasmo ingiustificato come quello di Francesco Merlo su Repubblica, che ha scritto sul palco ligure sta andando in scena “la nuova resistenza”, affidando ad Amadeus i panni del novello partigiano. Mentre secondo Ugo Magri, editorialista de La Stampa, questo Festival è destinato a passare addirittura alla storia per essersi posto a difesa dei valori repubblicani.
Tuttavia quello che fa notare l’articolo di Atlantico è l’aspetto “educativo” che vuole imporre la manifestazione politicamente orientata e culturalmente debole debba essere finanziata dai contribuenti, anche da quelli che non l’apprezzano e non si lasciano impressionare dalle mode temerarie, per non dire naïf. Il tutto naturalmente nell’intento di educare le masse al nuovo pensiero unico, di elargire panem et circenses, di formare una nuova classe di cittadini allineati e obbedienti.
“Li convinceremo che saranno liberi soltanto quando rinunceranno alla loro libertà in nostro favore e si sottometteranno a noi”, scriveva Dostoevskij nel suo romanzo capolavoro, “I fratelli Karamazov”. Allora, ecco che la pedagogia sanremese diventa una sorta di sovrastruttura di un disegno più ampio, destinato però a fallire come ha scritto magistralmente Stefano Folli su Repubblica.
“La sinistra intellettuale una volta si riconosceva nei giudizi taglienti di Pierpaolo Pasolini su Sanremo (“povera idiozia”); oggi si aggrappa al Festival come a una zattera in cerca di un ricostituente ideale, ma se possibile anche elettorale, che difficilmente potrà venire dallo spettacolo allestito da Amadeus”.
Insomma, da Pasolini a Chiara Ferragni, il passo verso il viale del tramonto politico e ideologico è davvero breve. Anzi, visti gli ultimi esiti elettorali, vedi le ultime elezioni regionali, siamo più vicini al tracollo che al tramonto.
DOMENICO BONVEGNA
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