Sconfiggere il Coronavirus è un atto di fede!

di ANDREA FILLORAMO

A distanza di tanti mesi dal lockdown totale e mentre è in corso quello parziale, mentre le restrizioni per le celebrazioni e le attività pastorali sono ancora sono molto forti e non ci sono le condizioni  per tornare alle vecchie abitudini, i vescovi e parroci auspicano la necessità di ripartire, ovviamente in sicurezza, poiché in questo periodo di astinenza parziale dalle celebrazioni, dalla partecipazione ai sacramenti e dalle attività pastorali è emerso un bisogno in tanti di sacro, forse anche perché richiamati particolarmente dall’immagine che è entrata nei cuori di tutto mondo e che veramente ha fermato il pianeta del 27 marzo scorso quando Papa Francesco solo e sotto la pioggia ha attraversato il sagrato di piazza San Pietro e da lì ha pregato. 

È stata questa l’immagine più forte finora del pontificato di Bergoglio. Stiamo vivendo dei giorni che lasceranno un segno indelebile nella nostra epoca. Molte delle vecchie certezze – lo sappiamo e ci rendiamo sempre di più conto – sono svanite e ci sentiamo fortemente destabilizzati. Mai, infatti, avevamo assistito al blocco di città e di intere nazioni, alla chiusura delle frontiere, al divieto di viaggiare, all’esercizio di tante attività alle quali eravamo abituati, alla messa a dura prova dei sistemi sanitari, a non poter partecipare come da tradizione ai riti millenari di Pasqua e Natale, e una sensazione di vulnerabilità si è impadronita di noi.

Siamo consapevoli che se non c’è in sé nulla di sbagliato nel godimento fisico o nel piacere estetico, tuttavia queste cose non rappresentano la totalità della vita.

Credere che si possa gustare pienamente la vita indipendentemente da Dio, al quale ci si può anche rivolgere, sapendo, però, che raramente egli interviene sulle leggi della natura data in consegna all’uomo, per conoscerla sempre più e rispettare, è un errore formidabile.

Dio, per il cristiano, non solamente è la fonte di tutte le cose buone di cui godiamo; è il bene supremo che dà senso e significato ultimo anche alle cose meno buone, al dolore e a ogni sforzo che facciamo per superarlo o per attutirlo e anche alla stessa morte, che, con l’aiuto della scienza e della medicina cerchiamo di posticiparla il più possibile. È cosa saggia, perciò prestare attenzione ai consigli dei medici che ci sono suggeriti quotidianamente, che insistentemente ci invitano a farci vaccinare.

Da evidenziare che l’idea di cura e di tutela della salute esprime un’idea relazionale volta a proteggere chi è “vulnerabile”. La valutazione di sottoporsi alla vaccinazione antivirus Covid-19, quindi, non può essere considerata una scelta meramente individuale, ma si riverbera sulla comunità intera; la scelta, pertanto, dovrebbe essere ispirata dalla responsabilità nei confronti dell’altro e della collettività.

Lo Stato ha interesse a che il numero delle persone non vaccinate e perciò potenzialmente infettabili sia basso; al contrario, se il numero di soggetti vaccinati e perciò immuni è molto alto, l’agente patogeno non riesce a circolare in mancanza di un “ospite”. Per questo si parla di immunità di gregge in forza della quale sono protette non solo le singole persone vaccinate, ma si determina altresì una barriera che impedisce all’agente patogeno di raggiungere chi non ha potuto vaccinarsi, come ad esempio gli immunodepressi.

Usciremo, quindi, dal tunnel? Lo speriamo.