Tu devi lottare in te stesso: sarebbe molto interessante raccogliere le voci dei preti quando, negli incontri fra loro, che si svolgono nelle diocesi, nelle parrocchie, nei seminari , affrontano il difficile tema della fiumara di fango che li sta travolgendo…
di ANDREA FILLORAMO
Sarebbe molto interessante raccogliere le voci dei preti quando, negli incontri fra loro, che si svolgono nelle diocesi, nelle parrocchie, nei seminari , affrontano il difficile tema della fiumara di fango che li sta travolgendo, causata dall’incauto e dall’esasperato esercizio della sessualità che purtroppo hanno come vittime anche bambini innocenti o tante donne che hanno avuto il torto di essersi innamorate di uomini che si erano impegnati da giovani, senza riuscirci, ad essere celibi e casti per tutta la vita.
Ci giungono o immaginiamo che ci giungano solo “sussurri e grida”, interpretabili come sintomi di un forte disagio emotivo che trascende un’incauta affermazione dell’intoccabilità del prete in quanto ministro di Dio e, quindi, “con-sacrato”, reso cioè sacro a servizio di una comunità.
Mai riusciremo a penetrare all’interno del guscio che, a mo’ di corazza protegge i sacerdoti dalla curiosità di chi non appartiene al loro gruppo che non è da intendere come qualcosa di più della semplice somma degli individui che lo compongono, ma per la regolarità delle interazioni fra i partecipanti, ha una sua identità e quindi un vissuto di appartenenza alla medesima realtà.
Da qui il “settarismo” tipicamente clericale che percepisce se stesso in termini di appartenenza a categorie sociali invece di far sentire i partecipanti come singoli individui.
Si minimizzano, così, le differenze intra-gruppo e si massimizzano quelle con gli altri gruppi con la tendenza a percepirsi e a definirsi sempre in modo positivo piuttosto che negativo.
Non possiamo, quindi, attenderci che i preti nei loro colloqui che si svolgono nelle istituzioni ecclesiastiche, su quanto giorno dopo giorno i media, forse cinicamente, buttano loro in faccia sull’esercizio della loro sessualità, riescano con lucidità a riconoscersi colpevoli al di fuori dei confessionali che con il passare del tempo non frequentano più come penitenti, di non aver osservato le regole che la stessa Chiesa impone loro.
Se, quindi, riteniamo che all’esterno essi si “avvalgano della facoltà” di non rispondere alle richieste legittime dei loro fedeli, che timidamente talvolta chiedono chiarimenti e invitano a pregare per loro che dicono di essere vittime delle maldicenze, nell’interno forse, costituiscono un segreto tribunale in cui essi stessi sono giudici ed imputati e in cui tendono ad assolversi.
Diciamolo con estrema franchezza: là dove il cammino umano e spirituale rimane incompiuto, il prete è prigioniero del suo ego e delle idolatrie, per cui prevale in lui la ricerca della propria gratificazione o il patirne la frustrazione, nascosti dietro la maschera del proprio ruolo.
Da qui derivano i comportamenti patologici e lesivi per sé e per gli altri, la cui forma più evidente e stigmatizzata è quella dei comportamenti sessuali, con i casi estremi, ma sappiamo che ne esistono anche altri che riguardano soprattutto il rapporto con il potere nelle sue diverse sfumature, con il denaro, la ricerca di qualche forma di rilevanza o il rifugio in un’identità forte (soprattutto a livello di immagine).
Qui si richiede che i preti prendano sul serio una “lotta spirituale”, il cui paradigma sono le tentazioni di Gesù nel deserto (cfr. Mt 4,1-11; Lc 4,1-13), ricordando anche quanto scrive Origene:
“Tu devi lottare in te stesso, perché la lotta procede dal profondo del tuo cuore”.