Mentre la nostra attenzione è concentrata sulle prossime elezioni, sulla guerra in Ucraina, sulla scomparsa della regina Elisabetta (ho molte simpatie per l’istituzione monarchica, ma è esagerata l’attenzione che stanno dedicando alla regina le tv italiane), ma soprattutto sulle bollette del gas e della luce, in Africa, viene assassinata una suora italiana, suor Maria De Coppi.
Il barbaro assassinio ad opera del gruppo jihadista Al-Shabaab, affiliato all’ISIS, gli islamisti hanno assaltato la comunità missionaria di Chipene, in Mozambico, retta dai comboniani, uccidendo la suora italiana. L’unico giornale a dare rilievo alla morte della suora è stato il quotidiano Avvenire.
«L’abbiamo uccisa perché era impegnata eccessivamente nella diffusione del cristianesimo», hanno detto gli assassini. Il messaggio non è stato ancora verificato ma ci sono pochi dubbi: fin da subito, i sospetti erano ricaduti sui jihadisti che, da Cabo Delgado, nelle ultime settimane, hanno iniziato a sconfinare nella provincia di Nampula, portando la loro brutale offensiva a sud del fiume Lurio.
L’uccisione della suora è un vero e proprio martirio, ha detto Marco Invernizzi sabato scorso a Radio Maria, definendo il significato stesso del martirio: quando si versa il sangue per la fede in Gesù Cristo. Credo sia importante ritornare e riflettere sul senso della frase dei jihadisti: l’abbiamo uccisa perché si impegnava troppo nella Fede. Attenzione, è importante che all’interno della comunità cristiana si ricordi il Martirio e di chi lo subisce per la Fede. Il martirio secondo Invernizzi, ci ricorda le verità fondamentali della Fede, ci riporta all’essenziale del Cristianesimo. Non c’è niente di più importante della Fede, come ha testimoniato questa suora. La possibilità che il cristiano possa subire il martirio è una eventualità totalmente assente nel nostro tempo. Nel mondo cattolico non si riflette abbastanza, si disconosce che il Novecento è stato il secolo dove si sono contati più martiri, qualcuno ha scritto che sono stati 45 milioni, tutti avversati dalle ideologie.
Invernizzi fa riferimento alle riflessioni di Luca Basilio Bucca, pubblicate sul sito di Alleanza Cattolica. Sembra che l’obiettivo principale dell’azione terroristica fosse proprio suor Maria. In Mozambico in pratica c’è una guerra civile che dura dal 1975, da quando ha ottenuto l’indipendenza dal Portogallo. Si combatte tra il Fronte del Frelimo e quelli del Renamo (Resistencia Nacional Mocambicana). Dopo la “guerra fredda”, il Frelimo si è alleato con l’Occidente, diventando liberale. Ma ora subentrano nel nuovo scenario politico, le forze islamiste. Cambiano i protagonisti ma la guerra c’è sempre. Le ideologie sono state sostituite dal jihadismo, che a sua volta dopo aver fallito in Iraq e in Siria si è trasferito nei Paesi africani. Infatti, Al-Shabaab risulta attivo nella provincia settentrionale di Cabo Delgado già dal 2007, quando – dopo un periodo di formazione in Arabia Saudita, Egitto e Sudan – i componenti del gruppo, salafiti, tornarono in quest’area cercando inizialmente di fare leva sul malessere socio-economico presente tra la popolazione, con l’obiettivo di istituzionalizzare la sharia e costituire uno stato islamico in Mozambico.
Bucca illustra sinteticamente gli ultimi sviluppi del jihadismo e degli scontri in Mozambico. “A partire dal 2015, – scrive Bucca – dall’autunno del 2017 iniziano gli attacchi armati ai danni della popolazione, intensificati dal 2019 con azioni sempre più cruente, fino ad episodi di smembramento e di decapitazione dello loro vittime registratisi a partire dall’autunno del 2020”.
A questo quadro s’intrecciano interessi economici, essendo proprio la regione settentrionale del Mozambico ricca di giacimenti di gas naturale, per l’estrazione del quale società europee, statunitensi e cinesi hanno investito ingenti risorse, oggi a rischio proprio a causa di questo quadro d’instabilità.
Tuttavia, “L’evento è in ogni caso, al di là delle specificità regionali, solo l’ultimo dei tanti che si verificano costantemente, soprattutto ai danni dei cristiani, in varie parti del mondo, in particolare in Africa e Asia, luoghi dove semplicemente professare la propria fede o partecipare alla Messa può letteralmente costare la vita”. Lo abbiamo più volte ribadito: questi eventi accadono spesso nel silenzio inerme della comunità internazionale e che finiscono per occupare solo il breve spazio di un articolo e di qualche nota di stampa.
Suor Maria aveva 83 anni – 59 dei quali vissuti da missionaria in Mozambico, Paese del quale aveva anche ottenuto la cittadinanza – e conosceva bene il pericolo che correva essendo già scampata ad un attentato qualche anno fa.
Consapevolezza del pericolo che emerge anche dalla sua ultima comunicazione alla nipote, qualche ora prima di venire uccisa, nella quale riferiva di una situazione tesa, con i jihadisti armati, ormai vicini alla missione, che attaccavano villaggi, uccidendo e rapendo la popolazione in fuga. Nonostante ciò ribadiva la sua volontà di non scappare e di volere continuare a svolgere il suo servizio in quello stesso posto.
Altrettanto significativo quanto scritto da don Loris Vignan su un gruppo Whatsapp della diocesi di Pordenone durante l’attacco, al quale è sopravvissuto insieme al confratello don Lorenzo Barro.
Bucca critica i giornali che hanno definito questi messaggi “disperati”, sono invece, pur nella drammaticità degli eventi, una bella testimonianza di fede e di speranza. Le scuse per le proprie mancanze, il perdono e l’invito a perdonare chi da lì a poco avrebbe potuto ucciderlo e quel «ci vediamo in Paradiso», che per lui, se gli fosse toccata la stessa sorte di suor Maria, nel martirio, come insegna la Chiesa, sarebbe stata una certezza.
DOMENICO BONVEGNA
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