Ucraina: la preghiera è la forza della pace

di ANDREA FILLORAMO

Nel mondo bizantino Stato e Chiesa non sono istituzioni distinte, bensì due aspetti dell’Impero cristiano, del regno di Dio sulla terra, che nel pensiero politico e teologico dei bizantini sono inseparabili.

Fedele a questo principio politico-religioso, affidandosi, quindi, alla Chiesa ortodossa rappresentata dal Patriarcato di Mosca, che è stata sempre considerata la custode delle sue vestigia imperiali e sovranazionali, Putin con la benedizione del Patriarca Killir, occupò il 24 febbraio u.s l’Ucraina.

Stato e Chiesa sono pienamente convinti, che ucraini e russi appartengano allo stesso popolo, che in Kiev trova il suo fondamento in quanto proprio lì venne battezzato Vladimir I nel 988, con la conseguente conversione al cristianesimo dell’intera Russia.

Tra Chiesa ortodossa e governo russo c’è, perciò, una mutua partecipazione: “la Chiesa non è semplicemente serva dello Stato”, piuttosto, almeno esteriormente, la Chiesa sembra godere di una certa influenza sul governo, e Putin e colleghi non perdono occasione di sottolineare questo imprimatur quando conviene ai propri interessi. Partecipano a manifestazioni religiose, si fanno fotografare in atteggiamenti di preghiera, pagano obbedienza: un modo per ricordare, anche dal punto di vista religioso, la centralità dell’identità nazionale nell’operato del governo.

All’interno del monolitico patriarcato russo, tuttavia qualcosa sta cambiando. Primo fra tutti è quanto è avvenuto nel 2018, quando cioè il patriarcato ecumenico di Costantinopoli ha riconosciuto l’autocefalia alla Chiesa ortodossa nazionale dell’Ucraina ed è nato patriarcato di Kiev. Mosca, allora, ha catalogato la nuova conformazione ucraina come “scismatica”.

Il quadro già frammentato dell’Ucraina religiosa si è reso ancor più frastagliato quando. oltre 200 sacerdoti e diaconi della Chiesa ortodossa russa hanno preso posizione, contestando il patriarca Kirill sull’attacco deciso dal Cremlino e bollando la guerra contro Kiev come una lotta fratricida.

Anche i fedeli ucraini che ancora fanno riferimento a Mosca, e dunque non alla neonata Chiesa nazionale, hanno chiesto al proprio patriarca di intercedere per porre fine alla violenza.

Per Kirill, però, esprimersi in modo netto sul contesto ucraino non è affatto semplice. il doppio filo che lega Cremlino, erede del potere zarista e sovietico, alla Chiesa ortodossa, non può essere facilmente reciso. Appena dieci anni fa, del resto, lo stesso Kirill definì Putin un “miracolo di Dio”.  

È evidente, quindi, che il peso dell’eredità millenaria della Russia e il rischio di perdere quei connotati sovranazionali che rendono centrale il patriarcato di Mosca nella narrazione imperiale non possano sparire in pochi giorni.

Sulle prossime mosse di Kirill, in tensione tra condanna e consenso, si aggiusterà anche il percorso di riavvicinamento e ripristino della comunione con la Chiesa cattolica. Papa Francesco, da sempre, condanna infatti la commistione tra politica e religione.

Sono certo che le conseguenze del conflitto in Ucraina cambieranno completamente il volto della Chiesa ortodossa, che a Kiev è sorta e che a Kiev  giocherà il proprio futuro. Forse dal Patriarca di Mosca dipenderà la pace richiesta quotidianamente da Papa Francesco? Questa, peròne siamo tuti convinti – è una strada lunga, irta di difficoltà ed inciampi difficili anche a prevedere.

La preghiera è la forza della pace”. Rimane ancora soltanto queste parole del Papa che sono risuonate, nel giorno di apertura a Roma dell’incontro internazionale di preghiera per la pace delle religioni mondiali organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio.