Da tempo in Occidente assistiamo a una vulgata propagandistica contro il passato europeo, colpevole di aver colonizzato il mondo e di averlo reso una landa desolata. Questa lettura viene sostenuta da forze politiche di sinistra e anche da un certo mondo cattolico, facendo crescere sensi di colpa in Europa e negli Stati Uniti.
Questa vulgata «diffusa in molti circoli intellettuali ed accademici, punta a convincere gli studenti, e in genere le nuove generazioni, che i Paesi colonizzati erano, prima dello sbarco degli europei, un grande Eden pacifico e tranquillo, i cui abitanti conducevano una vita felice e spensierata, basata sull’eguaglianza e la condivisione pacifica delle risorse». (Michele Marsonet, I complessi di colpa dell’Occidente: il colonialismo non è causa di tutti i mali del mondo, 2.12.20, Atlanticoquotidiano.it)
Questi pensatori hanno manicheamente diviso il mondo: «Da una parte i “buoni”, vale a dire i popoli colonizzati, e dall’altra i “cattivi”, cioè noi che occupando i loro territori abbiamo causato la rottura di un equilibrio pressoché perfetto che Dio (o la Natura) avevano creato». E dove esistevano i “buoni”, cioè in Africa, in America, qui c’era una specie di Eden, poi diventato povero e degradato proprio a causa del colonialismo e dello schiavismo.
«Eppure, – scrive Marsonet – è la storia stessa a dirci che il succitato Eden non è mai esistito. Africa e America erano sede di conflitti permanenti e di lotte sanguinose tra popoli diversi anche quando, sul loro suolo, degli europei non v’era traccia». Il “buon selvaggio”, esaltato da Rousseau, non esisteva in Africa e neanche in America, si pensi agli imperi Inca o Azteco.
Che non sia una discussione soltanto accademica, lo si è visto nelle settimane prima del voto presidenziale americano, come i movimenti indigenisti americani e soprattutto i Black Lives Matter, hanno distrutto statue di colonizzatori e razzisti bianchi come quelle di Cristoforo Colombo e di tante altri. Inoltre, i complessi di colpa da cui l’Occidente è afflitto stanno generando una curiosa situazione. Peraltro per espiare i nostri peccati coloniali, secondo certa sinistra dovremmo accogliere senza alcuna limitazione immigrati non europei che, una volta giunti, cercano subito non solo di trasferire, ma addirittura di imporre, i loro costumi e la loro visione del mondo.
Non v’è dubbio che il colonialismo sia un fenomeno deprecabile e da condannare con fermezza. Gli europei lo hanno fatto, a volte anche esagerando.
A noi oggi spetta, studiare, raccontare ai nostri figli, ai nostri giovani, spesso indottrinate da libri di testo faziosi, la Verità dei fatti. Per fargli prendere «coscienza di far parte di una civiltà, come quella occidentale, che al mondo ha fornito contributi fondamentali in ogni campo del sapere umano».
Un ottimo studio ben documentato che ha lo scopo di raccontare la Verità sulle “conquiste” europee nel mondo è «Magna Europa. L’Europa fuori dall’Europa», curato da Giovanni Cantoni e da Francesco Pappalardo, (D’Ettoris Editori, Crotone 2006). L’opera raccoglie testi di relazioni presentate a un seminario organizzato nel 2002 a Bobbio da Alleanza Cattolica e parzialmente replicato nel 2004 a Crotone dalla Fondazione D’Ettoris e dalla Biblioteca Pier Giorgio Frassati – costituisce da questo punto di vista un autentico avvenimento culturale, da inquadrare e apprezzare come tale, prima ancora di addentrarsi nell’esplorazione dei singoli argomenti trattati nella ricchissima collezione d’invertenti. E’ uno studio inteso a difendere la nostra identità politico-culturale, e per fare questo non si può prescindere da un corretto riappropriarsi della storia, senza leggende né “rosa” né nere.
Magna Europa (470 pagine) è un testo abbastanza complesso che comporta fatica nel leggerlo, e soprattutto sarebbe presuntuoso e inadeguato anche solo tentare di riassumere nel normale spazio di una recensione. All’opera hanno contribuito dieci esperti, studiosi con contributi specifici, dove approfondiscono temi storici, sociologici, religiosi con buone conoscenze geografiche. Infatti si consiglia di accompagnare la lettura con un buon atlante storico-geografico.
Il volume è aperto da una presentazione di Cantoni, fondamentale per comprendere il senso del testo. Vi si trovano preziose indicazioni sull’origine dell’espressione “Magna Europa”, e soprattutto una rivendicazione della legittimità del concetto, che Cantoni attribuisce allo storico della cultura, Henri Brugmans. «Magna Europa, Grande Europa, è dunque il nome con cui correttamente e significativamente si può indicare il mondo umano nato dall’espansione degli europei non solo in quel subcontinente dell’Asia che è l’Europa vero nomine, ma nelle Americhe, in Africa, nella stessa Asia e in Oceania, così come la Magna Grecia è stata anzitutto la ‘Grecia di fuori‘, ma, in ultima analisi, la Grecia in tutta la sua maturazione».
Pertanto Cantoni, citando il grande papa Giovanni Paolo II, il termine Magna Europa, «non è in realtà un territorio chiuso o isolato, ma è un continente di cultura […] si è costruita andando incontro, al di là dei mari, ad altri popoli, ad altre culture, ad altre civiltà».
Questa è la nozione di Europa, non solo “penisola del continente asiatico” «che ospita popolazioni diversissime dal punto di vista etnico e linguistico – ma acquista un significato preciso solo se la si intende in senso culturale, con riferimento sia all’eredità storica greco-romana, sia (soprattutto) al cristianesimo, sia – ancora – alla traduzione di questa eredità e di questa religione in strutture politiche rappresentate da concetti come “feudalesimo” e “impero” che godono di cattiva stampa ma che possono e devono essere riletti al di là delle “leggende nere”, ancorché “senza concessioni di sorta alle ‘leggende rosa’» (Massimo Introvigne, Testimonianza per l’Occidente, il Domenicale. Settimanale di cultura, anno V, n. 33, 19 agosto 2006)
Giovanni Cantoni nella premessa fa riferimento a una serie di studiosi che hanno affrontato l’argomento a partire da Pierre Chaunu, Gonzague de Reynold, il pensatore e uomo d’azione cattolico brasiliano Plinio Correa de Oliveira, lo storico statunitense Louis Hartz, Jaime Eyzaguirre Gutierrez, ma soprattutto il compianto amico e maestro di scienza storica e di vita Marco Tangheroni, che avrebbe dovuto esserne un protagonista di questo studio sulla Magna Europa. E poi al politologo Samuel Huntington, lo storico francese Fernand Braudel, il pensatore cattolico colombiano Nicolas Gomez Davila, il pensatore nicaraguense Ycaza Tigerino e tanti altri. Peraltro alla fine di ogni capitolo sono presenti dei riferimenti bibliografici e a volte anche sitografici, con un successivo orientamento bibliografico. Naturalmente tutto questo rafforza la scientificità dell’opera.
Entro nelle varie sezioni del libro aiutandomi con la splendida recensione che ha fatto il grande filosofo argentino Alberto Caturelli per la rivista Cristianità (“Magna Europa. L’Europa fuori dall’Europa”: lettura e bilancio di “un’opera che fa pensare”, n.341-342/ 2007, Cristianità)
La prima Parte (L’Europa che parte), inizia con il primo contributo di Luciano Benassi (Sviluppo tecnologico e conoscenza scientifica nel Medioevo) Non si può fare a meno di studiare e riscoprire il Medioevo tecnologico, quello dell’industria, delle invenzioni, della cultura. La civiltà cristiana romano-germanica, la cosiddetta civiltà medievale, più di altri hanno patito i silenzi e le falsità della “leggenda nera”. E’ stata soprattutto Regine Pernoud con i suoi studi a regalarci il vero Medioevo, sgombro dai pregiudizi e dalle falsità. Proprio «in quest’epoca s’incrementò l’uso dell’aratro che smuove la terra, del cavallo, del nuovo sistema di coltivazione a rotazione triennale, dell’energia idraulica, della tecnologia metallurgica di cui furono maestri, in genere, i benedettini e, infine, vennero poste le radici della scienza moderna (cfr. pp. 48 ss.) grazie all’apporto essenziale delle università».
Segue il contributo di Ivo Musajo Somma che si occupa de (L’Europa di Carlo V e di Filippo II d’Asburgo); (pp. 59-80); mostra come un sovrano autenticamente europeo proiettò e realizzò l’idea dell’Europa sovranazionale, multiculturale e cristiano-cattolica insieme al primato dell’ordine soprannaturale: adoretur Eucharistia in orbe universo.
Incoronato Imperatore da Clemente VII il 24 febbraio 1530, Carlo V, rispettando le autonomie locali, pensa alla monarchia universale e, mentre il luteranesimo lacera l’unità religiosa, porta a termine la conquista del Nuovo Mondo. Suo figlio Filippo II lotta per conservare l’armonia della Cristianità, convinto che il sovrano esiste per i popoli non solo della Spagna ma anche di fuori dalla Spagna, come testimonia la vittoria di Lepanto il 7 ottobre 1571. L’autore passa in rassegna le guerre di Fiandra e d’Inghilterra, l’assenza della Francia e l’immenso sforzo di Filippo II e delle Spagne contro il protestantesimo e l’Islam, per consolidare la Cristianità con un ordine civile fondato sulle libertà concrete (cfr. p. 79).
La prima parte viene chiusa da Ignazio e Ugo Cantoni; il primo con uno studio sulla Ratio studiorum della Compagnia di Gesù (cfr. pp. 81-92) e il secondo con un saggio sulle regole del jus in bello in relazione al tipo di armamento (cfr. pp. 93-99). Nel caso della guerra moderna, il numero di vittime di quest’ultima aumenta in modo esponenziale (cfr. p. 98).
La Chiesa Cattolica ha, scrive Ugo Cantoni,«[…]progressivamente orientato verso un’umanizzazione degli scontri, imponendo una serie di divieti, concordemente riconosciuti e rispettati, che rendevano tale attività estremamente limitata nel tempo, con l’esclusione – fra l’altro – dei tempi liturgici detti forti e delle feste religiose».
La seconda parte (L’Europa fuori dall’Europa) costituisce un monumentale corso di storia delle principali espressioni della “Magna Europa”. Il primo intervento è di Francesco Pappalardo (L’espansione europea dal secolo XIV al secolo XIX), pp.103-138.
Nell’ampio percorso l’autore descrive “[…] il passaggio da un mondo composto da realtà chiuse a un universo in cui grandi aree geografiche, numerosissime popolazioni e civiltà diverse prima isolate entrano in comunicazione” (p. 104); per certo si tratta de “l’esplosione […] su scala mondiale della Cristianità latina” (Pierre Chaunu, p. 106) con momenti chiave come la presa di Granada (2-1-1492), l’esplorazione dell’Oceano Indiano da parte dei portoghesi, la scoperta dell’America (12-10-1492), l’epopea missionaria fino al viaggio di Magellano concluso da Juan Sebastián de Elcano, la coscienza dell’esistenza di un Nuovo Mondo come continente autonomo separato dall’Asia, come mostrato dalla carta di Giacomo Gastaldi (1565) (cfr. p. 129). Con vivacità trascinante vengono descritti i viaggi degli spagnoli, degli olandesi, dell’inglese Cook e del francese Bougainville (cfr. pp. 130-136), che illustrano l’espansione non solo geografica ed economica ma anche religiosa e culturale dell’Europa nel mondo. Nei decenni seguenti al secolo XV, «si verifica un mutamento radicale del panorama mondiale – scrive Pappalardo – il più inatteso. Da allora, nel corso di circa tre secoli, i navigatori europei riescono a collegare fra loro tutte le zone del globo terrestre e ad aprire ai traffici europei tutit i mari, tranne quelli circumpolari, perchè ghiacciati».
Giovanni Cantoni espone il tema (La conquista dell’Iberoamerica (1493-1573): i protagonisti, le modalità e i problemi); (pp. 139-185). Si tratta di una sintesi eccellente che inizia dal 722 con la battaglia di Covadonga, dalla riconquista della Penisola Iberica portata a termine nel 1492 alla Conquista ed evangelizzazione dell’Iberoamerica (1493-1573). Indugia sull’opera dei Re Cattolici, sul carattere del conquistador e sulla missionarietà cattolica dell’impresa; dedica pagine sintetiche ed esemplari alle comunità precolombiane (i conquistati), ai “capitolati” attraverso i quali si trasferiva nel Nuovo Mondo “[…] quel particolarismo medioevale che nella madrepatria si sta tentando di superare” (p. 165) e alla encomienda, simile al feudo medioevale e alla signoria castigliana, nella quale si realizzava “[…] una protezione della proprietà degli Indiani che va al di là dei limitati diritti riconosciuti ai contadini nell’Europa medioevale” (Jean Dumont, pp. 167-168).
Ma l’elemento essenziale fu l’evangelizzazione che Cantoni descrive con maestria servendosi di una bibliografia di autori da noi meno noti (come Chaunu, Powell, Dumont) e altri più familiari (come Corrêa de Oliveira, García Morente, Eyzaguirre, Morales Padrón). Caturelli è onorato di essere citato da Cantoni che segnala l’opera del professore argentino: “Il Nuovo Mondo riscoperto”, edito in Italia da Ares (1992), da me recensita recentemente.
Continua.
DOMENICO BONVEGNA
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