Messina – Con l’approssimarsi dell’importante appuntamento referendario del 12 giugno in materia di giustizia, le cattedre di Istituzioni di diritto pubblico e di Diritto costituzionale, con la collaborazione di quella di Diritto penale, dell’Università di Messina intendono contribuire a fare chiarezza e a riflettere sui cinque quesiti sottoposti ai cittadini.
Al fine di favorire un voto consapevole e con l’auspicio di offrire un servizio per il territorio, il 6 giugno, alle ore 16.00, presso il Dipartimento di Scienze politiche e giuridiche di Piazza XX settembre n. 4, in Aula “L. Campagna”, si terrà un incontro dal titolo: “Il referendum del 12 giugno: un dibattito aperto”.
L’introduzione e il coordinamento dei lavori saranno affidati al dott. Alberto Randazzo, promotore e organizzatore dell’iniziativa, mentre gli interventi saranno svolti dai proff. Anna Maria Citrigno, Luigi D’Andrea, Alessandro Morelli, Giovanni Moschella, Simona Raffaele, Antonio Saitta. Seguirà un dibattito aperto a tutti coloro che vorranno intervenire.
Si tratterà di una occasione di confronto nella quale si metteranno in luce le implicazioni che, sul piano prettamente giuridico, si avrebbero in merito alle cinque questioni sottoposte all’attenzione dei cittadini sia nel caso che prevalessero i “sì” che i “no”.
I cinque referendum toccano, infatti, profili molto differenti, seppur riconducibili al settore della giustizia.
Il primo quesito (scheda rossa) concerne l’abrogazione totale della c.d. legge Severino, che prevede l’incandidabilità e il divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo per chi è stato condannato in via definitiva per delitti non colposi. L’attuale disciplina prevede che alla condanna definitiva per determinati reati (es. reati di mafia, di terrorismo, corruzione) segua, in via automatica l’incandidabilità (o la decadenza); la condanna non definitiva determina, invece, la sospensione temporanea (solo per gli amministratori locali). In caso di abrogazione verrebbe meno l’automatismo e dovrebbe essere il giudice penale a decidere, caso per caso, se applicare la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.
Il secondo quesito (scheda arancione) riguarda l’ampiezza del campo di applicazione delle misure cautelari. L’art. 274 del codice di procedura penale ammette l’adozione delle misure cautelari in caso di rischio di inquinamento delle prove, pericolo di fuga, pericolo che l’indagato o l’imputato commetta gravi delitti con uso di armi o contro l’ordine costituzionale oppure delitti di criminalità organizzata o, ancora, delitti della stessa specie di quello per cui si procede. La richiesta referendaria mira ad eliminare quest’ultima previsione, così da impedire l’adozione di una misura cautelare che sia fondata solo sul rischio della reiterazione.
Il terzo quesito (scheda gialla) verte sulla separazione delle funzioni dei magistrati. La normativa vigente prevede che i magistrati possano cambiare funzione, da giudicante a inquirente, fino a quattro volte nel corso della loro carriera; l’abrogazione delle norme indicate precluderebbe del tutto questa possibilità. I fautori del referendum sostengono che una rigida separazione garantirebbe una maggiore imparzialità dei giudici; gli oppositori adducono che tale scelta provocherebbe una divisione all’interno del corpo giudiziario ingiustificata e incompatibile coi principi costituzionali.
Il quarto quesito (scheda grigia) interessa la valutazione della professionalità dei magistrati. Secondo il sistema vigente il CSM esprime, ogni quattro anni, una valutazione sull’operato dei magistrati sulla scorta di pareri motivati (ma non vincolanti) del Consiglio direttivo della Corte di Cassazione e dai Consigli giudiziari. All’interno di questi consessi siedono sia membri togati che laici (avvocati e professori universitari), ma solo i primi prendono parte al procedimento di valutazione; in caso di esito positivo del referendum anche la componente laica dei Consigli potrebbe partecipare alla valutazione dei magistrati. Viene sostenuto che, in questo modo, i giudizi sull’operato della magistratura risulterebbero più obiettivi e meno autoreferenziali, a fronte dell’altissima percentuale di valutazioni positive che ricorre attualmente. La tesi opposta evidenzia, invece, il rischio che un avvocato possa esprimersi negativamente verso un magistrato che abbia adottato decisioni sfavorevoli ai propri assistiti o, al contrario, il pericolo che un giudice possa essere condizionato nelle sue scelte davanti a un avvocato che sarà, poi, chiamato a valutarlo.
Il quinto quesito (scheda verde) attiene alla modalità di presentazione delle candidature dei magistrati al CSM. Allo stato attuale ciascuna candidatura deve essere sottoscritta da almeno 25 colleghi, mentre il referendum mira a eliminare del tutto questo requisito. I sostenitori del sì puntano ad attenuare il peso delle correnti, mentre i promotori del no evidenziano che la raccolta delle sottoscrizioni manifesta la serietà della candidatura.