Lo stato di parziale ma estesa perdita della nostra libertà individuale dovuta a Coronavirus ci costringa a pensare a questi nostri fratelli che, anche se hanno commesso delitti più o meno gravi non devono vivere nel modo in cui oggi non si fa vivere neppure un animale.
di ANDREA FILLORAMO
Sono rimasto colpito dal messaggio dell’arcivescovo di Messina Mons. Giovanni Accolla, “inviato ai detenuti e a coloro che operano all’interno del carcere”. Il suo non è soltanto un invito a evitare ogni atto inconsulto ma un suggerimento garbato, paterno, a vivere in questo momento in cui siamo tutti aggrediti da un virus che può anche dare la morte, con spirito autenticamente cristiano.
Esso mi fa ricordare il modo con cui si rivolgeva a me la mia mamma e si rivolgono tutte le mamme del mondo ai figli. Nel salutarli le madri usano l’espressione idiomatica: “mi raccomando”. Con tale espressione dimostrano e vogliono far sentire l’affetto e la cura che hanno nei loro confronti. Essa ancora, anche se siamo ad una certa età, risuona nella nostra mente: “mi raccomando chiudi la porta!”, “mi raccomando stai attento!!” eccetera.
“Mi raccomando”, ovviamente implicito nel messaggio dell’arcivescovo rivolto ai carcerati e a coloro che operano all’interno del carcere è un tacito invito a recuperare il senso più vero della solitudine, alla quale adesso anche chi è fuori è obbligato a ritrovare, se vuole salvare la pelle. L’arcivescovo sa che vivere in carcere destabilizza profondamente qualsiasi detenuto, ne sconvolge la vita, annulla qualsiasi concetto di libertà personale e privata. Vivere in carcere, giorno dopo giorno, depriva delle fondamentali sensibilità umane, lasciando spazio alla paranoia e alla violenza. Dietro le sbarre, nella vita in carcere, c’è una diversa dimensione del vivere in società, ed esistono tanti modi diversi di interpretare la vita, la morte, la malattia e la libertà.
L’arcivescovo, inviando il messaggio ai carcerati si rivolge a tutti e dice che il mostro non esiste, che siamo tutti esseri umani e proprio nel momento in cui diamo spazio assoluto alla nostra natura pulsionale, ci trasformiamo in ciò che non siamo o per lo meno non siamo solo quello e spesso l’incapacità di comunicare i nostri disagi può diventare una causa che spinge a delinquere.
Con questo egli non vuole interferire con quelli che sono i “professori” del diritto o i politici che parlano e discutono sui delitti e sulle pene, sulle riforme necessarie del sistema carcerario ma non fanno nulla per restituire un minimo di dignità umana a chi è costretto a vivere in pochi metri quadrati, in un’assoluta promiscuità e nel terrore che un invisibile virus possa, per la situazione igienica e per difetto immunologico, costringerli ad una generale infezione che li porterebbe alla morte sicura.
Ritengo che lo stato di parziale ma estesa perdita della nostra libertà individuale dovuta a Coronavirus ci costringa a pensare a questi nostri fratelli che, anche se hanno commesso delitti più o meno gravi non devono vivere nel modo in cui oggi non si fa vivere neppure un animale.
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