Il 4 novembre si festeggiano Forze Armate e Unità nazionale. Bene il ricordo, ma non facciamoci prendere dalla retorica per presente e futuro, ché oggi la nostra esistenza e unità significa Unione Europea. Non abbiamo ancora, per esempio, esercito e sanità europea come invece è per la sovranità del diritto, ma covid e invasione Ucraina ci hanno fatto intendere che senza Unione non si va da nessuna parte.
Abbiamo rispetto per le Forze Armate e di chi ne fa parte. I militari, da quando è stato abolito il servizio obbligatorio, è un lavoro per lo Stato come altri, forse un po’ più rischioso. La nostra società, al momento, non ha ancora superato la necessità delle Forze Armate, per cui ce le teniamo.
La data di questa festa, 4 novembre, è l’anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale. Un tragico conflitto che ci costò un milione e duecentomila morti (600.000 civili e 600.000 militari). Per la prima volta nella storia ai morti militari si aggiunsero i civili, vittime di bombardamenti o di stenti, malattie, epidemie causate dalla guerra stessa. In quella guerra si usarono per la prima volta armi di sterminio di massa, si bombardarono le città. Un metodo seguito dalla successive guerre del secolo scorso e quelle in corso ancora oggi come in Ucraina, dove sono principalmente i civili a morire e le nuove armi sono sempre più micidiali.
Il 4 novembre dovrebbe essere ricordato come lutto, sconfitta dell’umano verso l’altro umano. Le ricorrenze con l’elogio della propria potenza militare, lasciamole a quei regimi che – Italia con altri – combattono strenuamente.
Vincenzo Donvito Maxia