Giornalismo, solidarietà e pubblicità. Il Nobel per la Pace non è immune dalla sindrome natalizia che propone e talvolta esibisce nobili sentimenti in offerta speciale. Pure noi cronisti soffriamo di tale malattia: partite benefiche per la libertà di stampa, visite a giornalisti perseguitati e orfanotrofi, collette per poveri e profughi, mattinate con chi soffre, pomeriggi nelle comunità di recupero, serate con gli anziani. E’ un impegno sociale scandito dal calendario, dal voto per l’Ordine dei Giornalisti, dalla pubblicità… E intanto il lavoro è negato, come l’onore e il rispetto per una professione ormai troppe volte svenduta al padrone di turno. Ha ragione chi sostiene che queste occasioni di resistenza civile un po’ somigliano alla fetta supplementare di panettone all’ospizio il 25 dicembre – poi, magari, umiliazioni il resto dell’anno – ma è sempre meglio di niente. Lottare per la libertà d’informazione è un atto pratico, è mestiere. Senza mediazioni, senza contaminazioni. Ed è giusto farlo! Tutto qui, si chiama etica, lealtà, dignità.