I nostri politici dovrebbero sapere che in carcere in Italia si muore in tanti modi: di malattia, di solitudine, di sofferenza, di malinconia, di ottusa burocrazia e d’illegale legalità.
Da dove nasce questo disagio diffuso?
Per almeno due motivi. Il primo è il fatto che chiaramente mancano le risorse per il personale e per sostenere le proposte formative, quindi i detenuti quando passano troppo tempo nelle celle in una sorta di abbandono, non vivono il tempo del carcere come un tempo che possa preludere una vera libertà, a un cambiamento della personalità. Il secondo motivo è che all’interno del carcere, essendo l’estrema ratio, arrivano persone sofferenti dal punto di vista psichico, consumatori di sostanze, quindi persone molto difficili da gestire. In questo periodo mancano presidi di accompagnamento, aiuto e sostegno dal punto di vista medico e neuropsichiatrco.
Se il carcere rimane solo una struttura di reclusione è chiaro che da una parte non corrisponde al dettato costituzionale, perché non c’è nessuna rieducazione, poi alimenta in questi detenuti un’identità criminale. Quindi c’è il rischio che lo stigma del carcere alla fine alimenti questa immagine di sé da criminale che in qualche modo si cristallizza e porta a molte recidive, all’impossibilità di uscire dal circuito penale.
Non è un po’ troppo?