Critiche, libertà, informazione e poteri dello Stato. Dal caso Open Arms

Non ci addentriamo nel giudizio espresso dai giudici che hanno condannato l’attuale vice-presidente del consiglio dei ministri per aver anteposto, nel caso della nave Open Arms a cui l’allora ministro dell’Interno impose di non sbarcare il carico di umani recuperati in mare per non farli affogare… per aver anteposto quelle che lui chiama “leggi della patria” ai diritti di persone che fuggono da guerre e miseria. I diritti dei chiamati in giudizio prevedono diversi livelli e vedremo come andrà a finire.

Ci interessano invece le reazioni di chi ci governa e chi fa opposizione e dei media  di Stato.

In un Paese come il nostro, con certezza del diritto mai esplicita e codificata (si pensi che buona parte dei nostri codici è quella che fu approva durante il regime fascista del secolo scorso), il confronto in genere avviene sulla legittimità: tu non puoi dire o fare questo ma dovresti dire e fare quest’altro. Ragion per cui si perde l’oggetto del contendere e si rimettono sempre in discussione i pilastri del contratto civile, repubblicano e costituzionale….e tutti in attesa di Godot o del sol dell’avvenire o della storia che un domani dovrebbe giudicare.

Diversi dell’opposizione delegittimano il condannato, i suoi colleghi e financo il capo del governo perché non sono d’accordo con la sentenza e lo dicono. Visto che al momento chi ha il potere esecutivo non sta prendendo provvedimenti contro il potere giudiziario, per quale motivo non dovrebbero esprimere la propria opinione?

Dall’altra parte, sostenitori del governo, delegittimano la magistratura perché ha giudicato in modo che a loro non torna.

Ci lascia perplessi, comunque, il comportamento dell’informazione di Stato, soprattutto di chi dovrebbe vigilare sul suo comportamento (commissione parlamentare di vigilanza), ché cercano di censurarsi gli uni con gli altri: hai dato troppo spazio a Salvini, ne hai dato troppo poco, etc. Occasione che mette a nudo gracilità e pericolosità di come è organizzato e deciso il sistema pubblico di informazione: non un servizio deciso e gestito da professionisti che ne dovrebbero dar conto alle leggi dello Stato come chiunque altro, ma professionisti nominati in quota di questo o quell’altro partito che devono dar conto del loro agire ai propri padroni, soprattutto il padrone che detiene la maggioranza di governo.

Non è una novità, per carità, ma è l’ennesima prova che se si vuole dare al Paese un servizio pubblico, non è con la Rai attuale che possa essere fatto… ché alla fine, poi, non è più servizio pubblico, ma un servizio che viene chiamato pubblico solo per giustificare i soldi pubblici (essenzialmente il canone)  che vengono utilizzati per mantenere il potere politico e i suoi equilibri.

 

Vincenzo Donvito Maxia – presidente Aduc