Il Prof. Giorgio Palù, membro autorevole del Comitato Tecnico Scientifico (CTS) e Presidente dell’Agenzia italiana del Farmaco (AIFA), in audizione in Commissione Igiene e Sanità del Senato, il 18 maggio ha dichiarato che la seconda dose dei vaccini a mRna, cioè Pfizer e Moderna, “può essere somministrata anche dopo 90 giorni. Secondo studi in questo modo la risposta è più forte”. “E’ molto importante la risposta cellulo-mediata, per la quale non abbiamo ancora nella routine pratica una misurazione”. E questo è così vero che su ‘Nature’ la settimana scorsa è uscito un lavoro che dimostra che potremmo ritardare anche di 90 giorni la seconda dose con un vaccino anti-Covid a mRna perché la risposta che si ha nel richiamo, il cosiddetto boost, è ancora più forte. Questo è un dato che ulteriormente ci rassicura”.
Per fortuna usa ”POTREMMO”, dato che comunque è necessario che tali eventuali studi, in realtà uno studio, siano adeguatamente resi pubblici e presentati all’Agenzia europea per i medicinali (EMA) per richiedere il prolungamento del periodo tra prima e seconda dose di Pfizer e Moderna. Lo studio in realtà riguarda solo Pfizer.
Il pezzo su Nature, reperibile qui https://www.nature.com/articles/d41586-021-01299-y, riporta solo la notizia di uno studio e non un lavoro. Non si tratta di un articolo scientifico, infatti, dato che il lavoro completo è riportato nelle referenze solo come preprint, ovvero stesura preliminare in bozza, accessibile online, ma non ancora accettato per la pubblicazione su una rivista scientifica, come dichiarato dagli autori. Lo studio è stato condotto dall’Università di Birmingham, in collaborazione con l’Ente di Salute Pubblica inglese.
La notizia non è stata correttamente interpretata, e soprattutto diffusa, dal Prof. Palù, che parla di lavoro e sembra abbia letto solo il titolo, senza neppure impegnarsi ad esprimere in italiano il concetto ‘boost’, cioè ‘aumento’.
Si riporta la traduzione del pezzo reperibile su Nature dal titolo Delaying a COVID vaccine’s second dose boosts immune response, dove si evidenziano i punti importanti.
Traduzione della notizia:
Ritardare la seconda dose del vaccino COVID aumenta la risposta immunitaria Gli anziani che hanno aspettato 11-12 settimane per il loro secondo vaccino hanno avuto livelli di anticorpi di picco più alti di quelli che hanno aspettato solo 3 settimane.
Di fronte a una fornitura limitata di vaccini, il Regno Unito ha intrapreso un audace esperimento di salute pubblica alla fine del 2020: ritardare le seconde dosi di vaccini COVID-19 nel tentativo di massimizzare il numero di persone che sarebbero almeno parzialmente protette da ricovero e morte.
Ora, uno studio suggerisce che ritardare la seconda dose del vaccino mRNA Pfizer-BioNTech potrebbe aumentare le risposte anticorpali dopo la seconda inoculazione più di tre volte in quelli più anziani di 80 anni.
È il primo studio effettuato su come un tale ritardo influisce sui livelli di anticorpi del coronavirus, e potrebbe ispirare le decisioni di programmazione del vaccino in altri paesi, dicono gli autori. “Questo studio supporta ulteriormente un insieme di prove in aumento sul fatto che l’approccio adottato nel Regno Unito per ritardare la seconda dose ha davvero pagato”, ha detto Gayatri Amirthalingam, un epidemiologo dell’Ente Salute Pubblica inglese di Londra e un co-autore del preprint, durante un briefing stampa.
Molti vaccini COVID-19 sono dati in due dosi: la prima inizia una risposta immunitaria, e la seconda, intervento di richiamo, la rafforza. Gli studi clinici dei tre vaccini usati nel Regno Unito hanno generalmente caratterizzato un intervallo di tre o quattro settimane tra le dosi.
Ma per alcuni vaccini esistenti, un’attesa più lunga tra la prima e la seconda dose produce una risposta immunitaria più forte. Ritardare i richiami di COVID-19 potrebbe anche espandere l’immunità parziale tra una fascia maggiore della popolazione rispetto al programma di dosaggio più breve. Il 30 dicembre, il Regno Unito ha annunciato che avrebbe ritardato la seconda dose fino a 12 settimane dopo la prima.
Per determinare se il ritardo ha pagato, Amirthalingam e i suoi colleghi hanno studiato 175 destinatari del vaccino di età superiore a 80 anni che hanno ricevuto la seconda dose del vaccino Pfizer o 3 settimane o 11-12 settimane dopo la prima dose. Il team ha misurato i livelli di anticorpi dei destinatari contro la proteina spike della SARS-CoV-2 e ha valutato come le cellule immunitarie chiamate cellule T, che possono aiutare a mantenere i livelli di anticorpi nel tempo, hanno risposto alla vaccinazione.
I livelli di anticorpi al picco erano 3,5 volte più alti in coloro che hanno aspettato 12 settimane per il loro richiamo rispetto a quelli delle persone che hanno aspettato solo 3 settimane. Il picco di risposta delle cellule T era più basso in quelli con l’intervallo prolungato. Ma questo non ha causato un declino più rapido dei livelli di anticorpi nelle nove settimane dopo l’iniezione di richiamo.
I risultati sono rassicuranti, ma sono specifici per il vaccino Pfizer, che non è disponibile in molti paesi a basso-medio reddito, dice Alejandro Cravioto, presidente del gruppo consultivo strategico di esperti sull’immunizzazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. I paesi dovranno considerare se le varianti che circolano nella loro particolare regione potrebbero aumentare il rischio di infezione dopo una sola dose di vaccino, dice.
Per il Regno Unito, estendere l’intervallo tra le dosi è stata chiaramente la scelta giusta, ma il blocco del paese merita parte del credito per quel successo, dice Stephen Griffin, un virologo dell’Università di Leeds, Regno Unito. “La gente è teoricamente vulnerabile tra il primo e la seconda vaccinazione”, dice. “Ciò che ha funzionato nel Regno Unito è il mantenimento delle restrizioni allo stesso tempo della vaccinazione”.
Riferimento: Parry, H. M. et al. Preprint at medRxiv https://doi.org/10.1101/2021.05.15.21257017 (2021).
Già il commento del Prof. Stephen Griffin, dell’Università di Leeds, chiarisce che il successo osservato nel Regno Unito dipende molto dal forte lockdown perché tra le due dosi la gente è vulnerabile, ma si deve approfondire utilizzando il preprint che descrive tutto il lavoro svolto.
La parte scientifica del lavoro ha qualche aspetto poco chiaro, proprio dal punto di vista scientifico, e, soprattutto, non è applicabile, come sostiene il Prof. Palù e si è sentito in TV ripetere esplicitamente. Si riportano solo tradotti i punti critici principali del preprint, dove si descrive ampiamente anche la metodologia relativa alla misura della risposta immunitaria:
- “la qualità delle risposte immunitarie alla vaccinazione si deteriora con l’età a causa dell’immunosenescenza e come tale c’è un notevole interesse nel capire come ottimizzare i programmi di vaccinazione in questo gruppo di età al fine di massimizzare la protezione”.
- “172 partecipanti di età uguale o superiore a 80 anni e che vivevano in modo indipendente sono stati reclutati per lo studio. Tutti i volontari hanno ricevuto la vaccinazione BNT162b2 Pfizer/BioNTech e sono stati vaccinati con un intervallo standard di 3 settimane tra le dosi (età mediana 84 anni (IQR 80-87, range 80-96) o un programma di intervallo esteso, con il secondo vaccino somministrato 11-12 settimane dopo il primo (età mediana 84 anni, IQR 82-89, range 80-99). I partecipanti hanno ricevuto gli stessi prelievi di flebotomia a 5-6 settimane e 13-14 settimane dopo il primo vaccino, a fini comparativi”.
Conclusioni:
Le risposte anticorpali di picco dopo la seconda dose del vaccino BNT162b2 sono notevolmente migliorate nelle persone anziane quando questa è ritardata a 12 settimane, anche se le risposte cellulari sono inferiori. La vaccinazione ad intervallo prolungato può quindi offrire il potenziale per migliorare ed estendere l’immunità umorale. È ora necessario un ulteriore follow-up per valutare l’immunità a lungo termine e la protezione clinica.
In breve si inserisce il significato che distingue l’immunità umorale, che migliora con l’intervallo più lungo tra le due somministrazioni di Pfizer, e l’immunità mediante le cellule, che invece peggiora.
L’immunità umorale si riferisce alla produzione di anticorpi, e a tutti i processi che la accompagnano per l’eliminazione degli elementi patogeni. Questa cresce ritardando la seconda dose per i soggetti con più di 80 anni.
L’immunità mediante le cellule è la più efficace nel rimuovere cellule infettate da virus. Questa decresce ritardando la seconda dose per i soggetti con più di 80 anni.
Ora è opportuno inserire i principali commenti critici allo studio:
- Innanzitutto il titolo è incompleto e distorcente perché non riporta le età considerate nel campione analizzato (almeno 80 anni) che limitano molto il risultato, mentre dal titolo lo studio può essere interpretato più generale male, come ha fatto Prof. Palù.
- La numerosità campionaria è molto limitata (172 soggetti), quindi si tratta di un esperimento di fase 1, anche detto ‘pilota’. Quindi non può essere utilizzato come base di un protocollo, né presentato all’EMA.
- Soprattutto, però, nel testo non compare la parola ‘random’, né la parola ‘cieco’, che significa che lo studio pilota non rispetta due punti essenziali per essere classificato trial clinico, sia pure di fase 1. Credo che sia molto strano aver trascurato le parole chiave di un esperimento clinico, che spiego subito.
‘Random’
Negli esperimenti clinici, dove si devono confrontare due situazioni con due gruppi, i soggetti vengono attribuiti a un gruppo specifico ‘random’, ovvero lanciando virtualmente una moneta. Ogni soggetto ha probabilità 0,5 di entrare in uno specifico gruppo. Naturalmente vale anche con sperimentazioni con più di due gruppi considerando probabilità di assegnazione uguali per ogni gruppo.
Questo procedimento è importante perché in uno specifico esperimento il coordinatore potrebbe, anche solo istintivamente, inviare i soggetti in migliore stato di salute nel gruppo che gli interessa di più.
E’ strano e sospetto che, anche se le informazioni statistiche sulle età dei soggetti dei due gruppi sono riportate in parentesi e mostrano gruppi abbastanza simili per età, non si riporta la composizione dei gruppi rispetto al genere, che è molto scorretto. Si è visto chiaramente che la risposta delle donne rispetto al virus è diversa dalla risposta degli uomini. I due gruppi dovrebbero avere la stessa proporzione di uomini e donne per essere confrontabili correttamente, ma non è detto esplicitamente e quindi non si sa.
‘Cieco’
Gli esperimenti clinici dovrebbero essere condotti almeno in cieco, meglio in doppio cieco.
Cieco si riferisce, in genere, al fatto che il soggetto non conosce a quale medicina o vaccinazione è sottoposto, non sa per esempio se è sottoposto a vaccino o a placebo. Questo si attua per non influire sulla psicologia del paziente.
Se la sperimentazione, come l’attuale, è sul tempo della seconda dose può sembrare impossibile, ma non lo è, basta infatti fare a ogni soggetto 2 richiami uno con Pfizer e uno con placebo a 3 e 12 settimane, incrociati nei due gruppi. Ma questo non è stato fatto.
Cieco si riferisce anche all’operatore che misura i risultati dell’esperimento, ma non si cita neppure questo nel testo. Questo si fa perché la psicologia dell’operatore non influisca sulla misura, sempre istintivamente.
I migliori esperimenti clinici si conducono in doppio cieco. Per concludere lo studio non ha assolutamente la valenza che gli attribuisce Palù.
Carla Rossi, consulente Aduc, Presidente del Centro di Studi Statistici e Sociali (Ce3S), già Professore all’Università degli Studi di Roma, Tor Vergata