Fine di un anno e inizio di uno nuovo, tempo di bilanci, tempo di statistiche e di numeri che ci raccontano l’Italia che siamo e che saremo. Tempo di attesa e di speranze. È anche tempo di vacanze per i 7,2 milioni studenti che hanno atteso il suono dell’ultima campanella prima dell’inizio delle vacanze natalizie, stessa campanella che, dopo le feste, li richiamerà sui banchi di scuola. E se non tutti apprezzeranno il ritorno alla routine scolastica, è innegabile che l’accesso diffuso all’istruzione scolastica resta uno dei più bei regali conquistati nel secolo scorso, caposaldo per lo sviluppo di una società equa e primo passo verso la garanzia di pari opportunità. Eppure proprio gli studenti sono ignari protagonisti di alcune statistiche che ci parlano di un Paese in profonda crisi sotto il profilo educativo.
In Italia circa 1,4 milioni di minorenni vivono in condizione di povertà assoluta
In Italia circa 1,4 milioni di minorenni vivono in condizione di povertà assoluta, cui si aggiungono gli oltre due milioni a rischio povertà (circa un minore su quattro), ovvero quelli con un reddito familiare inferiore del 60% rispetto a quello medio nazionale o i cui genitori hanno un lavoro saltuario o che non possono permettersi di soddisfare alcuni bisogni essenziali. Tutto questo ha un impatto significativo sulla loro educazione: povertà economica e povertà educativa sono strettamente correlate e si alimentano a vicenda in un circolo vizioso in cui le ristrettezze economiche limitano l’accesso alle opportunità educative e culturali e, le limitate risorse culturali, frenano le future opportunità lavorative. Dunque, se è vero che tutti hanno diritto all’istruzione, è altrettanto vero che il punto di partenza non è uguale per tutti e, senza interventi adeguati, la scuola rischia di essere il luogo dove sin dalla primissima infanzia, i divari si acuiscono.
Povertà economica e povertà educativa sono strettamente correlate e si alimentano a vicenda
La famiglia, primo spazio di formazione di un individuo, è il luogo dove tutto ha inizio e le famiglie non sono tutte uguali né hanno tutte le stesse possibilità. Per i bambini provenienti da famiglie svantaggiate è, rispetto ai loro coetanei, decisamente più alta la probabilità di andare incontro ad uno scarso apprendimento precoce che li espone negli anni della formazione primaria e, successivamente in tutto il loro percorso accademico, al rischio di ottenere risultati meno soddisfacenti rispetto agli altri. Risultati scolastici peggiori che non rispecchiano la reale possibilità di apprendimento, ma che spesso diventano il preambolo per le successive disparità: opportunità di lavoro e carriera, guadagni, impegno nella società.
Nel nostro Paese meno del 30% dei bambini di età inferiore a 3 anni ha la possibilità di accedere ai nidi d’infanzia
I primi anni di vita sono fondamentali per lo sviluppo delle competenze socio-emotive di un bambino, competenze che possono fare la differenza nella capacita di adattarsi con serenità all’ambiente scolastico ed ottenere risultati adeguati. Un’analisi condotta dall’OCSE[1] ha evidenziato significativi divari di apprendimento per i bambini provenienti da famiglie svantaggiate rispetto a quelli nati in famiglie più avvantaggiate (individuate sulla base del livello di istruzione dei genitori, delle occupazioni e del reddito familiare). L’ambiente in cui i bambini crescono e gli stimoli che da esso ricevono hanno un impatto che, seppur intangibile, inizia a tracciare la strada verso la disuguaglianza: già ad otto mesi di vita i primi mostrano una ridotta flessibilità mentale che nei mesi successivi si trasforma in un livello più basso di “alfabetizzazione emergente” (evidente già a 12 mesi), considerata fra i più affidabili indicatori predittivi dei successivi risultati scolastici. Fondamentale per lo sviluppo delle capacità di apprendimento è la frequentazione, fin dalla prima infanzia, di ambienti educativi esterni a quello familiare, in particolare i nidi d’infanzia: eppure, nel nostro Paese meno del 30% dei bambini di età inferiore a 3 anni ha la possibilità di accedere a questo tipo di servizio[2]. Anche in questo caso risultano penalizzate le famiglie a basso reddito, sia per il costo elevato delle rette, sia perché la carenza di nidi riguarda soprattutto le aree economicamente depresse.
Povertà educativa, i divari accumulati nella prima infanzia si acuiscono con il passare del tempo
I test condotti su bambini e ragazzi in età scolare (ad esempio, il programma PISA[3] e i test INVALSI) hanno dimostrato che i divari accumulati nella prima infanzia si acuiscono con il passare del tempo, con gli studenti provenienti da contesti socio-economici svantaggiati che ottengono punteggi mediamente inferiori, soprattutto per quanto riguarda le competenze in italiano e matematica. Un altro dato allarmante è quello relativo alla dispersione scolastica in tutte le sue forme, che, come affermato dallo stesso Ministro dell’Istruzione e del Merito in un’audizione del 9 maggio 2023 dipende, oltre che da cause intrinseche al sistema scolastico, «da fattori socioeconomico-culturali che rimandano ad una situazione di disagio più profondo e di malessere del ragazzo anche in relazione al contesto in cui vive». In Italia, secondo i dati Eurostat il fenomeno coinvolge quasi il 13% dei giovani (in Europa fanno peggio solo Spagna e Romania) e i cosiddetti Neet, giovani fra i 15 e i 34 anni che non studiano, non lavorano e non si trovano in un percorso di formazione, sono di più che in tutto il resto dell’Unione europea e, guarda caso, sono i giovani provenienti da famiglie a basso reddito e da contesti svantaggiati a collezionare le percentuali più alte per entrambi i fenomeni.
Dispersione scolastica e disuguaglianze, incidono fattori socioeconomico-culturali
Come spesso accade, in Italia il divario traccia una netta divisione fra Nord e Sud del Paese: le regioni meridionali ottengono risultati peggiori in quasi tutti gli indicatori relativi alla povertà educativa. Tassi di dispersione scolastica superiori al 15%, servizi educativi per la prima infanzia che coprono meno del 10% delle potenziali richieste e studenti che nel 30% dei casi non raggiungono le competenze minime nelle materie fondamentali.
Certamente non si può affermare che la correlazione fra povertà materiale e minor apprendimento sia scontata e diretta: non è raro, infatti, che bambini e ragazzi, provenienti da un contesto familiare con basso reddito, ottengano risultati scolastici migliori dei coetanei provenienti da famiglie più abbienti, ma i dati suggeriscono che siamo ancora distanti da un sistema scolastico capace di garantire pari opportunità. L’istruzione, per essere veramente equa, dovrebbe farsi carico fin dall’infanzia dei bisogni dei bambini svantaggiati, evitando che essi arrivino alla scuola dell’obbligo partendo un passo indietro rispetto agli altri. Vista la complessità del fenomeno, il contrasto alla povertà educativa deve prevedere un approccio integrato capace non solo di coinvolgere la scuola, ma anche di sostenere le famiglie, il territorio e le agenzie educative, offrendo opportunità di crescita e sviluppo personale anche al di fuori dell’ambiente scolastico.
Al suono della campanella, che i bambini e i ragazzi si godano la magia delle vacanze di Natale e dei regali sotto l’albero e, che gli adulti e la politica si impegnino per regalare loro una società in cui il diritto allo studio si trasformi in diritto alla formazione di qualità, dalla culla sino all’ultimo esame all’Università.
Mariarosaria Zamboi – www.leurispes.it