Prendiamo tre recenti sentenze che, pur se è diffusa la soddisfazione per la giustezza della pronuncia, hanno caratteristica di tempi da brivido.
Dopo 13 anni sono stati condannati i militari responsabili della morte di Stefano Cucchi (1).
Dopo 23 anni sono stati condannati i responsabili della morte del parà Emanuele Scieri (2).
Dopo 43 anni son stati condannati alcuni degli autori della strage di Bologna (3).
Ogni sentenza ha ovviamente ampia giustificazione dei giudici per il tempo che è occorso a mettere la parola fine. Giudici che hanno fatto il loro lavoro, strutture giudiziarie all’altezza della bisogna. Parenti delle vittime, opinione pubblica e affidabilità/rispettabilità delle istituzioni, messi alle corde per la lunga attesa, ma sostanzialmente indenni perché “giustizia è stata fatta”, “ne è valsa la pena aspettare”, “ora siamo sereni”.
Tredici anni, ventitré anni, quarantatre anni.
Mettiamo da parte i protagonisti di questi tre fatti e immedesimiamoci nei panni di:
– chi, coinvolto in una vicenda giudiziaria, si appresta ad intraprendere il percorso che dovrebbe dargli giustizia. Brivido. Come si può fare senza giudici e tribunali? Rinuncio. Il più estremista: mi faccio giustizia da solo, anche se fosse solo cercare di fregare la giustizia ad ogni minima occasione.
– avvocati. Due tipi: quelli che si fregano le mani ché hanno per anni ed anni assicurato il lavoro; e quelli che si angosciano coi loro clienti, studiando e architettando ogni metodo per abbreviare ma che, nella quasi totalità dei casi, sfiancati accettano lo stato di fatto e cercano coi clienti di farsi reciprocamente meno male.
– giudici. A parte un manipolo (in genere occulto) che cerca di fare l’impossibile, la quasi totalità si aggiusta ad una fatalità della vita in cui routine del lavoro e indifferenza per lo stesso non si distinguono, alimentata anche dal fatto che lo stipendio, di riffa o di raffa, è sempre in aumento. E anche se questa routine comporta un affievolimento delle loro capacità (essere giudici su un fatto di quarant’anni fa…. manco fossero storici più che giudici), sono poco interessati a considerare la criticità temporale, tanto a loro, fallace o meno che sia ciò che fanno, nulla cambia.
Questa fotografia triste e deprimente corre il rischio di essere “leggermente” incrinata dai referendum sulla giustizia giusta che siamo chiamati a votare il prossimo 12 giugno. Il regime che ci governa ha fatto e sta facendo di tutto perché nulla cambi: la data scelta è altamente a rischio non-partecipazione e se quest’ultima non è di almeno il 50%+1 degli aventi diritto, salta tutto (4). Inoltre, il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati che faceva parte del “pacchetto”, non è stato ritenuto costituzionale dalla Corte.
Il regime che ci governa, oltre a determinare la data della chiamata alle urne, dovrebbe vigilare e intervenire ché l’informazione degli elettori sia soddisfatta, cioé servizio pubblico Rai. Visto qualcosa?
Tra avvocati che si sfregano le mani per gli incassi, giudici che senza responsabiità trattano le vicende come una pratica dell’ufficio anagrafe, regime politico all’opera per boicottaggio… ma guarda un po’, chi sono le vittime? Gli utenti del servizio giustizia. Ci raccomandiamo che le nostre istituzioni continuino a fare appelli di giustizia e rispetto, non sappiamo quanti vi faranno fede, e non ce ne stupiamo.
1 – https://www.aduc.it/notizia/caso+cucchi+buon+diritto+onlus+sentenza+importante_138748.php
2 – https://www.aduc.it/comunicato/processo+dopo+23+anni+dal+fatto+giustizia_34323.php
4 – https://droghe.aduc.it/articolo/referendum+democrazia+italia+tram+chiamato_34309.php
François-Marie Arouet – Aduc