Signor Presidente, Signor Procuratore Generale, Signori Consiglieri, Autorità, Signore e Signori,
Inizia un nuovo anno giudiziario, carico di grandi aspettative ma anche di profonde disillusioni.
Noi magistrati onorari ci accingiamo ad affrontare il terzo anno di emergenza sanitaria, senza che sia stata introdotta una sola concreta misura che abbia migliorato la nostra indegna condizione.
Nulla hanno potuto le statuizioni della Corte di Giustizia dell’UE, nulla hanno sortito le dure censure della Commissione europea, né la considerazione che il pagamento a cottimo, sia per i giudici di ruolo che per quelli onorari, è vietato, da oltre 12 anni, da specifica Raccomandazione del Comitato dei Ministri agli Stati membri del Concilio d’Europa.
Restiamo, ancora oggi, giudici e pubblici ministeri oscenamente pagati “a gettone”, privati del diritto all’indennità di malattia, di ferie o di maternità, spogliati di ogni tutela, persino quando sopraggiungono tragedie familiari, o eventi luttuosi fanno improvvisamente venir meno il sostentamento dei nostri cari.
Nell’epoca dei lockdown e delle necessarie limitazioni alla mobilità, non si è pensato neppure di introdurre una norma che consenta, ove compatibile con le esigenze degli Uffici, il diritto al trasferimento presso altra sede di servizio.
In un contesto di crisi economica per i cittadini che vivono del proprio lavoro, non si è sentito il dovere di adeguare le indennità congelate da oltre vent’anni, che costituiscono l’unico compenso lavorativo per chi, con dedizione e impegno, contribuisce ogni giorno alla giurisdizione.
Persino ai colleghi che vivono condizioni di grave disabilità si continua a negare il diritto di veder rimosse negli Uffici le barriere -non solo architettoniche- causa di odiosa discriminazione.
Nel tempo del PNRR e dell’afflusso di miliardi presi in prestito dall’Europa, non un solo euro è stato destinato alla magistratura onoraria, ma si è preferito finanziare fantasiose e improvvisate
strutture, di operatività ancora incerta, privilegiando avventurose innovazioni che avrebbero forse meritato una più approfondita e coerente valutazione.
Questo, finora tracciato, il mesto bilancio dello scorso anno, conclusosi poche settimane fa con l’approvazione dell’”emendamento Cartabia” – L. 234/2021, art. 1, commi 629-633 – ovvero di una normativa che avevamo atteso con trepidazione e speranza, confidando che le pressanti sollecitazioni sovranazionali avrebbero potuto infine trovare un approdo giusto e degno della nostra civiltà giuridica.
Così, invece, non è stato.
A dispetto delle notizie che una stampa superficiale, o forse disattenta, continua a propagare, parlando impropriamente di “stabilizzazione”, l’impianto della legge già in vigore, la cd. “riforma Orlando”, resta in piedi con tutte le inaccettabili criticità evidenziate dalla sentenza “UX” e dalla lettera di messa in mora che lo scorso 15 luglio la Commissione europea ha rivolto al Governo italiano. L’intervento emendativo si limita infatti ad introdurre parziali e opache modifiche, con le quali ci si ostina a non riconoscere ai magistrati onorari, in servizio anche da decenni, la qualifica di “lavoratori”, con quanto ne consegue in termini di privazione di diritti e di tutele.
Per esprimere la valutazione negativa del recente emendamento, prendiamo in prestito le parole di Livio Cancelliere, collega giudice onorario che questa estate, attuando una civile protesta, ha percorso i 250 km del cammino di Francesco, da Assisi a Roma, ed è stato ricevuto al suo arrivo dalla Ministra Cartabia, nella sede di via Arenula.
Livio, che aveva come noi sperato in una soluzione giusta e rispettosa dei principi costituzionali, all’apparir del vero ha espresso la sua disillusione con una lettera aperta alla Ministra, che condividiamo e facciamo nostra :
“Mi piacerebbe poter dire alla Ministra Cartabia che la sua idea riforma della magistratura onoraria mi piace perché giusta, equilibrata e rispettosa dei principi di diritto, ma purtroppo non posso dirlo.
L’emendamento alla legge di bilancio 2022 in tema di magistratura onoraria prevede che la presentazione della domanda di partecipazione alla procedura valutativa “comporta rinuncia ad ogni ulteriore pretesa di qualsivoglia natura conseguente al rapporto onorario pregresso”. In sostanza, la mera presentazione della domanda comporta ipso facto, la rinuncia a tutti i diritti, pregressi e attuali.
Una rinuncia preventiva senza alcuna certezza futura. A me non pare conforme alla Costituzione che il mio datore di lavoro, il Ministero della Giustizia, mi imponga di rinunciare a quei diritti che tutelano valori umani e sociali previsti dalla Costituzione stessa e non a caso definiti indisponibili (tra tutti, il diritto ad una retribuzione dignitosa, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, alle ferie).
Senza parlare della procedura valutativa: dopo un concorso per titoli, un tirocinio e ben 18 anni spesi a pronunciare sentenze nel nome del popolo italiano dovrei nuovamente essere valutato? Peraltro, ritengo quantomeno inopportuno che si preveda la presenza all’interno della commissione anche di un componente dell’avvocatura, che potrebbe aver patrocinato una causa da me decisa (una scelta che contrasterebbe con i principi di autonomia e indipendenza della magistratura).
Nel caso di esito positivo della prova valutativa, continuerei a svolgere attività giurisdizionale (come un giudice togato), ma con il trattamento economico del personale amministrativo: una figura nuova, ibrida, certamente contraria alla recente sentenza UX dell’UE, che ha indicato come parametro di riferimento il magistrato di ruolo. Altri problemi si porrebbero per chi, come me, è iscritto alla Cassa forense.
E fino alla procedura valutativa? Continuerei ad essere pagato secondo l’attuale regime di cottimo (fermo a 98 euro lordi dal 2003)! Eppure, ricordo che la Ministra ci rassicurò sull’improrogabilità di questo esecrabile e vietato sistema di pagamento.
E se, invece, decidessi di non presentare alcuna domanda per non rinunciare a far valere i miei diritti? La sanzione prevista sarebbe l’immediata cessazione dal servizio (nonostante la conferma fino al 30 maggio 2024). Che suona come una bocciatura, ed è infatti la stessa sorte riservata anche a chi non dovesse superare la procedura di valutazione.
In entrambi i casi è prevista una indennità di 1.500 euro lordi annui (se avessi tenuto almeno 80 udienze l’anno sarebbero stati 2.500 euro, ma è un numero d’udienze difficilmente raggiungibile). In definitiva, dopo 18 anni spesi a servizio della giustizia, la mia “buonuscita” sarebbe inferiore a 20.000 euro nette (l’indennità di buonuscita, secondo il calcolo spettante ai dipendenti pubblici, sarebbe di oltre 10 volte superiore).
E la scelta, poi, di calcolare l’anzianità di servizio al 2017 appare incomprensibile. E che ne è degli ultimi 4 anni di lavoro svolti? Ci sarebbero altri punti fortemente critici da evidenziare, ma mi rimetto a quanto già più efficacemente sottolineato dalle associazioni di categoria.
Scrivendo queste righe, ho avuto la sensazione che la Magistratura onoraria debba pagare colpe che non ha, ogni proposta che ci riguardi pare debba tendere alla mortificazione. E parlo di quella stessa Magistratura considerata “pilastro fondamentale della Giustizia”, che ha evaso nel tempo milioni di fascicoli e che ha consentito di poter dire all’Europa che la situazione in Italia è migliorata.
Mi trovo davanti ad un bivio: continuare a lavorare ancora per anni come precario dall’incerto futuro di dipendente amministrativo al servizio dello Stato o rinunciare ad un umiliante trattamento per ricevere una indecorosa liquidazione?
Se potessi parlare nuovamente alla Ministra Cartabia, Le direi che adesso sento scivolare via 18 anni della mia vita spesi al servizio del Ministero che presiede. E l’amarezza di veder svanire una opportunità che si è presentata a noi con il Suo arrivo”.
Anche l’auspicio che l’ultimo passaggio parlamentare potesse porre rimedio alle vistose criticità rilevate è stato purtroppo disatteso, non essendosi svolto sul tema alcun confronto o dibattito.
L’ imposizione di una rinuncia tombale al pregresso e la previsione di un compenso “parametrato” al trattamento economico di chi svolge mansioni diverse e meno qualificate, si configura a nostro avviso quale autentica “barbarie giuridica” che, ove non dovesse suscitare una pronta e veemente reazione immunitaria del sistema, si porrebbe quale pericoloso precedente, con possibili potenziali riflessi anche in danno di altre categorie di lavoratori.
Concludiamo con l’auspicio che oggi non si celebri solo un nuovo anno, ma anche una nuova Giustizia, da porre al centro della società democratica come valore irrinunciabile, perché possa ancora valere il motto scolpito sui nostri Tribunali : “fiat iustitia ne pereat mundus“.
Associazione “G.O.T. non possiamo più tacere”