Le occasioni, che più vengono apprezzate su queste piattaforme, sono le osservazioni critiche contro tutti e contro tutto. In cui tutti si peritano di essere tuttologi pronti a dare il meglio di sé su qualunque argomento. Ma lo sguardo dei social, nonostante la notevole partecipazione, rimane verità parziale e non rappresenta certo garanzia per la democrazia.
In occasioni sono le dinamiche che sottendono la dimensione virtuale a orientare le menti verso nuove definizioni di profili come il “ciberflâneur”, ovvero quell’utente che vaga per la rete in cerca di nuove scoperte che rispondano alle proprie aspettative precostituite. Sicchè in questo ambito il luminoso futuro digitale, all’insegna del gioco, dell’intrigo e della casualità, attendeva questo misterioso personaggio del mondo virtuale. Una simile visione dell’”oggi già domani” era inevitabile, in un’epoca in cui si scriveva che “internet e l’autostrada dell’informazione sono diventate ciò che la città e la strada erano per il flâneur di un tempo”. Questo nuovo personaggio, riveduto e corretto nella contemporaneità digitale, afferma una diversa curiosità e soprattutto una nuova versione del mondo visto da “qui” (dal digitale).
Qui risalta una evidente distorsione della realtà, che rimane preda di interpretazioni parziali e presuntive e non certo benevole. Anche in politica l’era #digitale riserva un diverso conio. Ad esempio la rivoluzione di Twitter (oggi spaceX): se ne è parlato per le manifestazioni in Iran nel 2009, per la Cina subito dopo, più recentemente per l’Egitto: prima ancora che lo scontento dei cittadini, il grande protagonista delle proteste sembra essere stato il web.
La convinzione che le tecnologie digitali alimentino solo cambiamenti positivi e siano lo strumento perfetto per la creazione della democrazia corrisponde alla realtà? Non è così! Difatti si va formando una aggiornata scuola di pensiero in evidente antitesi al cyber-ottimismo di pensatori che proverebbe a spiegare molto chiaramente come anche governi tutt’altro che democratici usino le piattaforme digitali piegandole ai loro fini. In Russia e in Cina gli spazi di intrattenimento online sono studiati apposta per spostare l’attenzione dei giovani dall’impegno e dalla partecipazione civile. Per cui guardare il mondo attraverso gli occhi di internet e/o dei social non è inequivocabilmente una cosa buona. Insomma è facile dedurre e concludere che Twitter e Facebook non hanno giocato alcun ruolo cruciale, e la rivoluzione ed i cambiamenti, in ogni plesso, sarebbero accaduti con o senza di loro. Pensare alla rete come a un propagatore naturale di democrazia e di curiosità positive è fuorviante e pericoloso: per garantire forme efficaci di cambiamento sociale è necessario rimanere calati solidamente nella realtà.