C’è una linea di demarcazione che non dovrebbe, meglio, non deve essere superata, ma spesso è infranta secondo le convenienze, soprattutto politiche.
Questa linea è rappresentata dall’art.27 della Costituzione che recita: l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Nel corso dei decenni abbiamo assistito a un vero e proprio linciaggio degli avversari, considerati nemici, da portare al patibolo, alla ghigliottina, mozzargli il capo per poi mostrarlo al popolo tra le urla delle tricoteuses di turno.
In questo i media, tutti, hanno avuto la loro parte di responsabilità, tra giornalisti e conduttori televisivi.
Scriviamo dell’argomento perchè in questi giorni il Pd è scosso dalle inchieste sulla sanità nella Regione Umbria, a seguito delle quali si è dimessa la presidente Catiuscia Marini. A Roma il presidente del Consiglio comunale, Marcello De Vito, del M5S, è agli arresti per la vicenda dello stadio della Roma e di altri interventi edilizi.
Citiamo queste due forze politiche, perché alla memoria ci sovviene il lontano periodo di tangentopoli dei primi anni ’90, quando il Pds (ora Pd) era sul banco degli accusatori, rivendicando la superiorità morale e, oggi, sul banco degli accusatori è salito il M5S che si è eretto a tutore dell’onestà.
La cosiddetta legge “spazza corrotti” ne è testimonianza.
Tipica la frase che sentiamo sull’indagato di turno: speriamo che dimostri la propria innocenza. Non è così, perché è la magistratura che deve dimostrare la colpevolezza di chi è inquisito e quello che si può chiedere è che il procedimento giudiziario abbia tempi “umani”.
Richiamare il principio costituzionale, dell’innocenza fino a sentenza definitiva, non è nella cultura della maggior parte degli esponenti politici, sicchè, l’imbarbarimento del confronto politico e istituzionale ci trascina nel baratro dell’inciviltà, della giustizia sommaria, del risentimento, del rancore, dell’odio e della vendetta. Diffidare, sempre, dagli angeli sterminatori.
Primo Mastrantoni, segretario Aduc