Il coronavirus come la corruzione: più li controlli, più li rendi percepibili

Nutriamo un profondo rispetto nei confronti di chi sta vivendo questa difficile (e un po’ surreale) esperienza del Coronavirus, sia questi un malato, o anche solo una persona costretta prudenzialmente alla quarantena. Altrettanto profondo è il nostro rispetto per i medici, i sanitari e le donne e gli uomini delle Forze dell’ordine e della Protezione civile che in questa, come in ogni altra emergenza del passato, non esitano a mettere le loro professionalità e il loro coraggio al servizio del Paese.

Nutriamo un profondo rispetto per l’opera delle Istituzioni e ci sentiamo in dovere, perciò, di invitare tutti – noi per primi – a un silenzio collaborativo. Verrà tempo per tirare le somme su quanto è accaduto (e non accaduto) e, con l’indispensabile supporto di dati concreti e obiettivi, avremo tutti modo di esprimere un giudizio. Ma quel tempo non è il presente.

Desideriamo invece, come Istituto che offre le proprie riflessioni ai cittadini e alle Istituzioni, cogliere questa triste esperienza collettiva che stiamo vivendo, come occasione per evidenziare, una volta tanto, una qualità positiva dell’organizzazione civile del nostro Paese. Il nostro sistema di controlli.

Dunque è evidente che, come avviene per i fenomeni criminali, anche per una epidemia come quella che stiamo vivendo si deve agire nella massima trasparenza e comunicarne fin nei minimi particolari i dati e le statistiche (anche le più tristi): è questione di sicurezza dei cittadini e allo stesso tempo di sicurezza nazionale.

Nondimeno, pensando all’origine geografica del virus ed alla sua diffusione, leggere che il nostro Paese si posiziona al terzo posto per contagi, dopo Cina e Corea del Sud, con conseguenze significative sul piano macroeconomico e di mobilità internazionale, lascia davvero perplessi. E ci induce a riflessioni, di più ampio e profondo respiro.
Sosteniamo una tesi non dissimile da quella che abbiamo prospettato in materia di corruzione e di lotta alle frodi alimentari.

Osservando da anni, unici in Italia, il fenomeno, abbiamo infatti maturato il convincimento che più si combatte la corruzione più la si rende percepibile. Proprio per questa ragione abbiamo sempre contrastato l’insano uso di produrre “indici di corruzione” sulla base della percezione. Un paese che combatte la corruzione la rende più evidente – scoprendone i casi – di uno che preferisce far finta che non esista. Per questa ragione chiedemmo il superamento degli indici percettivi di corruzione come base per una comparazione tra i Paesi. Proprio a dicembre del 2019, le Nazioni Unite hanno accolto questa nostra linea ricostruttiva, invitando ad un’analisi del fenomeno sulla base di indici di carattere oggettivo.

Sulle frodi alimentari, presenti in Italia come in ogni parte del pianeta e della nostra cara Europa, a partire dai paesi di lingua neolatina, l’Italia è all’avanguardia per qualità e quantità di controlli. Cogliere con le mani nel sacco un piccolo produttore di formaggio non è il segno di una inaffidabilità del sistema agroalimentare italiano ma, all’esatto opposto, il segno di una straordinaria capacità di individuare il reato contro la salute pubblica, anche quando a consumarlo sia una piccola, isolata, realtà produttiva.

Ebbene, nonostante l’infinita distanza tra i due fenomeni (epidemia di coronavirus e corruzione endemica) anche per questa patologia vale la stessa affermazione.

In sintesi, riteniamo che l’Italia, a differenza degli altri paesi, abbia svolto controlli ben più penetranti degli altri, con ciò generando una emersione di casi, di gran lunga più numerosa degli altri Stati (il numero dei tamponi somministrati è un dato oggettivo e non un fatto “percepito”).

Il comportamento della stampa, purtroppo anche quella di Servizio Pubblico, sempre attenta a informare, certo, ma anche sempre più incline a inseguire il sensazionalismo e condannata dal giogo delle news24 a trovare sempre nuovi contenuti da “strillare”, il soffiare sul fuoco delle paure da parte di soubrette che si atteggiano a reporter sui canali commerciali, e, ultimo ma non per importanza, certe decisioni politiche e amministrative, stanno edificando una narrazione dell’emergenza, forse imprevista, e certamente pericolosissima per la tenuta socioeconomica del Belpaese. E così, oggi, paradossalmente, ci troviamo a subire le conseguenze internazionali di questa narrazione dei fatti, che non possono che essere emotive e perciò spesso involontariamente sciocche (come quella di far sbarcare i turisti italiani da un aereo a seconda della città di residenza).

La verità, dal punto di vista di noi ricercatori sociali, è evidentemente un’altra e solo a chi non vuole vederla, può sfuggire.
Il virus è salito su tanti aerei prima delle misure adottate in ogni Stato.
Tanti erano asintomatici e tali restano in Italia e all’estero.
Moltissimi, all’estero, hanno l’influenza e vanno in ospedale, ma non fanno il tampone e non vengono censiti.

L’avere portato alla luce l’esistenza di casi di coronavirus, molto probabilmente in numero non superiore a quelli di altri paesi, ma soltanto ben delineati ed evidenziati per le grandi capacità del nostro Servizio Sanitario Nazionale (a fronte di paesi che nemmeno lo hanno), non può e non deve rivelarsi un elemento negativo per il nostro sistema.

In assenza di una strategia comune e di regole comuni sul piano internazionale, comportamenti guidati da un opportunismo sgangherato di breve termine, da parte di chi può e deve parlare ai cittadini, espongono il petto del Paese alla sciabola della cattiva reputazione, con ricadute economiche immediate ed indirette di portata enorme, ancora incalcolabile e, ciò che è peggio, dagli effetti di lungo periodo.

Quale la soluzione per questo insopportabile e autolesionista paradosso?

La strada la indica il 17° obiettivo dell’Agenda 2030 sulla Sostenibilità della Nazioni Unite: collaborare fra nazioni, popoli e persone. Da solo nessuno ce la può fare.

Chiediamo pertanto al Presidente David Sassoli, di agire con la massima sollecitudine e determinato senso della gravità, per richiamare tutti i partner europei intorno al tavolo della condivisione, unica via possibile per debellare questa straordinaria minaccia sanitaria.

Siamo convinti che così, e solo così, l’Unione Europea potrà trasformare un attacco alla salute dei cittadini in una opportunità politica altrettanto straordinaria: sperimentare nuove forme di convivenza civile, adatte e all’altezza della civiltà europea.

GIAN MARIA FARA, PRESIDENTE DELL’EURISPES