Fermarsi! Una situazione alla quale le nostre società non sono abituate. Tutta la teoria economica è basata su di un processo evolutivo di crescita e di sviluppo. Certo, ci sono oscillazioni dovute alle periodiche crisi, ma il trend è in salita, in termini di reddito complessivo (al netto degli squilibri e delle grandi disuguaglianze che comunque si producono).
Il Premio Nobel per l’Economia, Angus Deaton, ha infatti descritto il percorso di crescita secolare e l’aumento degli standard di vita come la “grande fuga” (in avanti). Eppure, è bastato un virus a interrompere questa fuga, con l’unico rimedio che ha riecheggiato nel mondo: lockdown, chiusura, isolamento, blocco.
E tuttavia, per quanto alla fine l’epidemia si sia diffusa in paesi che fanno quasi il 70% del Pil mondiale, il mondo ha continuato a camminare, certo in modo lento e problematico… Ma è successo!
Non sarebbe accaduto nel passato e non poteva succedere anche per la contemporaneità della crisi in pratica in tutte le nazioni maggiormente industrializzate.
La stasi (più o meno) completa, al di là del forte disagio sociale, è stata evitata dal fortissimo ricorso alla digitalizzazione. In molti casi si è fatto di necessità… virtù, e in pochi giorni un termine come smart working è divenuto familiare per milioni di persone, al punto tale che su Google fa oltre tre miliardi e 200mila citazioni.
La prima lezione quindi è che la disponibilità di un computer e di un’accettabile connessione Internet ha dato impulso a quel fenomeno che Richard Baldwin chiama “tele-migrazione”, che in genere si esercita su lunghe distanze, e che invece si è fortemente accorciato anche su quelle medie e corte, per effetto del confinamento. C’è stata la dimostrazione del volto amico di una tecnologia di massa che ha reso possibili cose impensabili solo dieci-quindici anni fa.
Prima questione quindi riguarda il futuro del lavoro: oggi l’economia basata sulle merci è stata superata dall’economia basata sull’informazione; guardiamo agli andamenti: mentre la prima si sviluppa sostanzialmente a un ritmo lineare, l’altra invece ha un andamento esponenziale! Sotto alcuni aspetti grazie al contagio digitale è stato possibile combattere, da questo punto di vista, il contagio da Coronavirus (e non parliamo poi delle applicazioni di tele-medicina che si diffonderanno sempre di più).
Ma se questo è oggi, il primo interrogativo che sorge è quanti spazi di effettiva socialità saranno utili e/o necessari nel futuro?
Non è solo un aspetto di convenienza economica per le imprese, ma una questione che implica valutazioni anche di ordine mentale ed etico. In queste settimane verifichiamo che il lavoro a distanza molto spesso crea situazioni di disagio, se vogliamo anche una sorta di dipendenza. Spesso, comprime gli spazi di libertà e di flessibilità, non li amplia.
Certo, rende più facili e riduce gli spostamenti, decongestiona il traffico, ma può indurre degli effetti di alienazione causati dal rapporto virtuale con gli altri.
Fino a dove può spingersi, non tanto dal punto di vista dell’applicazione tecnica e/o tecnologica, ma dal punto di vista della complessiva produttività e rigenerazione delle persone. Non si tratta solo della tradizionale questione di quanto le macchine dotate di intelligenza (artificiale) possano sostituire le persone, ma di una riflessione più profonda sul significato della socializzazione come fattore di crescita non solo umana, ma anche economica.
La questione si intreccia poi con le modalità di utilizzo dei big data, con l’impressionante sviluppo degli algoritmi divenuti nel tempo (e soprattutto in alcuni settori) da strumento servente per le decisioni, essi stessi strumenti di determinazione delle decisioni, al punto che si sta rinfocolando il dibattito sull’algocrazia, una forma di organizzazione a intenso utilizzo di routines e algoritmi, in cui dietro un minore carattere gerarchico delle strutture burocratiche si possono nascondere invece pericolosi fenomeni di etero-determinazione del processo decisionale.
Questo tema richiama un’altra questione: quella della effettiva personalizzazione delle relazioni, sull’ambiente di lavoro. Quanto conta e quanto serve? In altri termini, qual è il mix tra comunicazione verbale e comunicazione non verbale e tacita? Ci sono alcuni studi secondo i quali, quando le persone si trovano faccia a faccia in una stanza, solo il 30% delle informazioni scambiate deriva dalle parole dette, il resto riguarda atteggiamenti ed espressività.
Secondo lo stesso Baldwin i nostri cervelli sono programmati per la comunicazione non verbale: mentre ci sono tantissime lingue nel mondo i messaggi che passano per la comunicazione non verbale sono molto comuni.
La sfida è quindi capire fin dove le prestazioni lavorative implicano caratteristiche di cura, condivisione, comprensione, creatività ed empatia nell’attivare innovazioni e dove invece queste caratteristiche sono molto minori. Nel primo caso la socialità è richiesta non come estrinsecazione delle qualità della persona, ma anche per una migliore produttività.
E collegato a tutto questo vi è una profonda rivisitazione dei processi formativi.
L’esperienza Covid-19 ha dimostrato la necessità di avere una migliore conoscenza e comprensione degli aspetti tecnologici, e già da tempo si insiste a sviluppare l’approfondimento di materie che richiamano all’acronimo STEM: Science, Technology, Engineering, Mathematics. Ma si va sempre più affermando la necessità di includere la formazione umanistica che sempre più appare come l’elemento chiave per lo sviluppo di una reale consapevolezza e crescita della creatività, come da tempo va sostenendo la filosofa Martha Nussbaum, integrando l’acronimo in STEAM dove la “A” sta per Arts.
Da questo punto di vista, secondo un altro Premio Nobel per l’Economia, Edmund Phelps, bisognerebbe riscoprire i classici a partire da Omero, se si vuole l’affermazione di una “economia fiorente”.
Non è solo una questione di rimodulare i percorsi formativi scolastico-universitari, ma anche una sfida per favorire lo sviluppo delle competenze nell’ambito del mondo del lavoro, per fare in modo che le trasformazioni che abbiamo sperimentato in questi giorni (da molte delle quali non si potrà più tornare indietro) possano rappresentare la ripresa di quella “fuga in avanti” nei processi di sviluppo e non causare invece un impoverimento non solo sotto l’aspetto materiale, ma anche dal punto di vista sociale ed umano.