Possiamo diventare artigiani di pace? SI domanda Andrea Riccardi fondatore della Comunità di Sant’Egidio, nell’ultimo libro, “Il grido della pace. Perché è necessario ascoltarlo”, pubblicato dalle edizioni San Paolo, (2023). “Si può divenire artigiani di pace; dipende da ciascuno di noi. E’ una scelta che è all’inizio della costruzione della pace”. Per Riccardi si può influire e cambiare le vicende nazionali e le politiche internazionali, attraverso la conoscenza, l’informazione, seguendo gli eventi, soprattutto “essere solidali con chi soffre per la guerra, ricordare nella preghiera vuol dire non voltarsi dall’altra parte”.
Sono in tanti a soffrire per la guerra e chiedono la fine, ma il loro grido spesso non viene ascoltato, il mondo è troppo distratto in altre cose, del resto non è facile cogliere il dolore della guerra quando si vive lontani. E poi le guerre sono tante, come si fa ad essere attratti e interessati dai tanti scenari.
Riccardi in queste pagine cerca di prestare attenzione partendo dal grido di pace che viene dall’Ucraina, un Paese che non è tanto lontano da noi. Ci sono i milioni di profughi sparsi per l’Europa che vivono vicino a noi il loro dolore. Sono tanti i motivi per cui il grido che invoca la pace non è stato ascoltato. Forse quello più valido è il “senso di inutilità nel prendere in considerazione le domande di pace”. Del resto, “a che serve parlare delle guerre in corso? Cosa possiamo fare noi?” C’è un senso di impotenza che probabilmente genera indifferenza che poi viene giustificata. Tuttavia per Riccardi occorre insistere, bisogna ascoltare le domande, occorre parlarne e non nascondere i bisogni.
Bisogna sensibilizzare la gente, i giovani, “far crescere la coscienza storica di cosa è stata la guerra nel Novecento con le sue terribili conseguenze: le guerre mondiali, la Shoah, le devastazioni, la perdita di vite umane”. Non si può accettare passivamente la guerra. In queste pagine l’autore vuole convincere il lettore che la guerra spesso è un’”inutile strage”, come l’ha definita Benedetto XV durante la Prima Guerra Mondiale. E proprio alle due guerre mondiali con le sue stragi di uomini e donne, alla Shoah e la resistenza dei giusti, ma anche ai nazionalismi che portano all’odio, alla guerra, ha dedicato alcuni capitoli del libro. Il testo di Riccardi pone l’attenzione ai soliti temi che vengono spesso evocati per realizzare seriamente la pace. Il dialogo, il vivere insieme, l’umanesimo come cultura che sottende alla convivenza tra diversi, la cultura della pace, l’incontro tra culture e religioni. Il Sesto capitolo (Pace, fraternità e dialogo fra le religioni), affronta questi temi, puntando molto sull’incontro di Assisi nel 1986 tra i vari leader religiosi del mondo. Riccardi dichiara di non essere un pacifista ideologico, ma i risultati degli ultimi decenni dimostrano che la guerra concepita in una logica di scontro di civiltà porta al fallimento. Il testo dedica un interessante capitolo a Giorgio La Pira, un appassionato ricercatore di pace, che da anticomunista convinto, non auspicava lo scontro con il mondo comunista, ma una conquista sul piano dell’attrazione. Era la strategia del sindaco fiorentino: attrarre, dialogare, creare ponti. La Pira introduce l’utopia della pace per bandire la guerra nella storia. Per lui non c’era pace senza libertà religiosa. Con i suoi interlocutori comunisti, egli poneva la questione religiosa al primo posto. Interessante le sue parole all’ambasciatore sovietico a Roma, nel 1954, “la Chiesa aspetta con ansia un grande atto di pace da parte dei governi di democrazia popolare: la liberazione del Cardinale Primate di Ungheria, del Cardinale Primate di Polonia, del Primate di Cecoslovacchia, di tutti i vescovi e sacerdoti […]”. Per La Pira non si tratta solo di non fare la guerra, ma si tratta di trasformare il mondo, “Passare da una civiltà costruita in vista della guerra ad un’altra civiltà costruita in vista della pace”.
Chiaramente la soluzione non è improvvisa e meccanica. Tuttavia la pace è possibile.
Del resto, almeno a parole, tutti vogliamo la pace. Naturalmente la pace è un valore fondamentale ma occorre sempre ricordare che va sempre invocata insieme alla Giustizia. E la giustizia che chiede per esempio Myroslav Marynovych, il vicerettore dell’Università Cattolica di Lviv e cofondatore di Amnesty International Ucraina. L’anno scorso intervistato dal quotidiano Avvenire sulla questione della pace in merito alla guerra contro l’invasione russa, così si esprimeva: “Da tempo si tende a sostituire il concetto di “guerra giusta” con quello di “pace giusta”. Ma, come mostra la guerra russo-ucraina, anche l’idea di “pace giusta” rischia di non rispondere a tutti i problemi che si presentano: talvolta il termine “pace”, in astratto, può nascondere interessi ben lontani dalla pace stessa. Non è possibile consentire una pace che renderebbe l’aggressione un metodo efficace per appropriarsi di territori stranieri. La pace giusta è una pace duratura. Inoltre, più crimini di guerra commette la Russia in Ucraina, più significativi diventano gli argomenti etici nella valutazione degli eventi. Pertanto le democrazie mondiali dovrebbero risolvere correttamente il dilemma “sicurezza-valori”. Se i politici ignorano i valori attraverso ingiuste concessioni all’aggressore, egli diventa arrogante ed è minore la sicurezza che otteniamo. Ed è stato Gesù a metterci in guardia su questo: “Chi cerca di salvare la propria vita, la perderà; e chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”. (Giacomo Gambassi, Ucraina. ”Grati al Papa e a Zuppi per l’impegno a liberare i prigionieri e i bambini”, 2.8.23, Avvenire)
DOMENICO BONVEGNA
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