In un libro la voce dell’io pesa come un macigno. La sua presenza
è spesso ingombrante, costringendo il lettore a entrare in confidenza
con quello che dice, a immedesimarvisi, a prenderne le distanze. È
sempre l’io a dettare la prospettiva.
Qui la prospettiva è molteplice, perché l’io che si pronuncia
non ha una sola voce: varia a seconda dei protagonisti. Questi
mantengono l’anonimato per non dare l’impressione che il loro
dramma sia personale anziché collettivo. Ognuno racconta la sua
storia, ma ogni storia presenta qualche legame con un’altra. Così,
anche se a prima vista può sembrare che i racconti si susseguano
senza soluzione di continuità, contengono almeno un elemento di
raccordo che rende il discorso unitario, fungendo da fondamento.
A suggellare la coesione delle singole vicende, la cornice entro
cui si svolgono: fra le voci narranti ne emerge una che apre e chiude
il libro. Quale sia, però, risulterà chiaro solo alla fine.
Temen è un romanzo a episodi ambientato in un mondo sconvolto a più riprese da una pandemia. Anche se non viene mai esplicitamente nominato, il riferimento al Covid-19 è evidente e fa sì che questo lavoro si costituisca come la naturale prosecuzione, in veste narrativa, delle riflessioni contenute in un mio libro precedente: l’antologia di saggi Virotopia, un istant book apparso nel giugno del 2020, al termine dei primi due mesi di lockdown: una misura estrema e sufficientemente inedita per il nostro tempo alla quale ogni singolo cittadino ha dovuto adattarsi, non senza conseguenze sul piano sociale, culturale e psicologico.
Sul piano sociale, la recisione dei contatti umani ha rappresentato un trauma difficilmente superabile, aggravato dall’uso smodato delle mascherine per tema di incubare il virus e dal senso di colpa per avere inavvertitamente contagiato un proprio caro. L’aspetto con cui tutti hanno dovuto confrontarsi è stato un senso pervasivo di minaccia, una minaccia invisibile che aleggiava nell’aria, impossibile da scongiurare se non tramite una reclusione coatta fra le mura domestiche. Sul piano culturale si è avuta quindi una recrudescenza di antichi costumi e superstizioni, come la caccia all’untore e il sospetto che il virus potesse annidarsi persino sulle superfici battute dal sole (voglio ricordare con ironica amarezza la disinfezione delle facciate dei palazzi e delle spiagge, come esempi di una follia collettiva architettata ai vertici dell’amministrazione e della politica). Sul piano psicologico si è delineato allora un quadro patologico assai variegato, con l’insorgere di turbe e manie ossessivo-compulsive che persistono tutt’oggi.
Su questi e altri aspetti avevo insomma riflettuto nel mio libro Virotopia e a distanza di un anno dalla sua uscita, con il protrarsi delle misure restrittive e dell’ansia del contagio, ho pensato di scrivere una continuazione. Virotopia 2 avrebbe dovuto essere un nuovo libro di saggi, che però non ha mai visto la luce, perché ho trovato più proficuo scrivere un romanzo, Temen appunto.
Partiamo dal titolo, Temen (come spiega il sottotitolo) significa “Fondamento” nella lingua sumerica. Il termine è presente infatti in un nome articolato, E-temen-an-ki, “Casa del Fondamento del Cielo e della Terra”, che è il nome originale della ziqqurat di Babilonia, meglio conosciuta (attraverso il racconto del Genesi) come la “Torre di Babele”. Intorno alla torre di Babele, gli Ebrei hanno costruito uno dei miti più affascinanti e filosoficamente complessi mai tramandati: il mito della perdita della lingua universale, la lingua divina con cui gli uomini potevano comunicare con il loro creatore e conoscere intimamente l’essenza e i segreti del creato. La perdita del sostrato linguistico che soggiace alla realtà corrisponde appunto alla perdita del fondamento delle cose. La caduta della torre è dunque assimilabile a una catastrofe cosmica come quella prefigurata dalla Cabala con lo shevirat–ha–khelim, la “rottura dei vasi” e la dispersione delle scintille divine nella notte eterna del creato. Allo stesso modo degli ebrei che peregrinano in un mondo oscuro con una fiammella interiore che balugina nei loro cuori, esuli in una dimensione estranea e minacciosa, i protagonisti di Temen affrontano la perdita del fondamento in seguito al proliferare di un virus invisibile che mette a repentaglio i loro affetti, la loro rete di contatti, le dinamiche sociali che caratterizzano il loro quotidiano e, per finire, la loro stessa vita.
Il romanzo è scritto in prima persona e senza nomi. A ogni capitolo corrisponde una storia, un personaggio che si racconta e di cui viene taciuta l’identità per rendere il discorso il più impersonale possibile e il suo significato di portata universale. Le storie sono comunque variamente collegate fra loro da un cenno, un dettaglio, un rimando, che fa comprendere come ciascun personaggio, seppure trasformato dal sistema in una monade (in un elemento isolato che svanisce fra le mura di una casa, dove potrebbe essere al contempo vivo e morto, come il gatto di Schroedinger chiuso nella sua scatola), continua in realtà a mantenere la sua attitudine umana, che lo rende parte integrante di un cosmo intersoggettivo. Questi personaggi corrispondono a dei tipi psico-sociologici come quelli junghiani (il responsabile, l’allucinato, il complottista ecc.) e operano all’interno di una cornice narrativa composta da un prologo e da un epilogo, designati rispettivamente con le lettere greche dell’alfa e dell’omega e intitolati l’uno “Dalla periferia dell’impero” e l’altro “Al centro della galassia”. Protagonista di questa cornice è uno dei vari Io che si pronuncia in corso d’opera, ma di quale Io si tratti risulterà evidente al lettore solo alla fine.