IL PONTE E LA NOSTRA QUESTIONE MORALE

Non ho atteso lo scandalo di Maurizio Croce, né gli avvisi di garanzia di Messina (per i quali occorrerà ovviamente aspettare, a tutela degli indagati, gli accertamenti giudiziari) per denunciare la questione morale come il problema politico più grave della città in vista dell’affare Ponte. E ho sempre respinto il vittimismo giustificatorio e statistico delle chiamate di correo. Se è vero, come è vero, che anche altre città sono coinvolte in vicende poco chiare, è solo segno che facciamo parte di un sistema corrotto, che noi per primi dovremmo profondamente analizzare.

Ora che la misura è davvero colma – con l’utopia Ponte alle porte – sono in tanti a elevare la loro voce. Lo constato con soddisfazione: non certo per rivendicare frustranti primati, ma per cercare di scongiurare che la questione morale, finora rimossa, venga ora sublimata nella chiacchiera. Come spesso accade da queste parti troppe volte le uscite sono rientrate. Gli impegni solenni – all’indomani di ogni visita della Commissione antimafia – sono stati dimenticati. I problemi, anziché risolti, dissolti. Per sottrarsi alla entropia delle chiacchiere e del facile oblio questi tardivi ma significativi e importanti moniti dovrebbero tradursi presto in fatti, atti e comportamenti coerenti. Ciò, tuttavia, richiederà rinunce, decisioni, recisioni e cambiamenti difficili, anche traumatici.

Non si tratta solo della scelta delle persone che dovranno intervenire. Si tratta del modo dell’intervento. Della durata, che non può essere – com’è in altri casi – indefinita. Si tratta di non invischiarsi nei complicati e mortificanti giochi di potere delle confraternite. Si tratta soprattutto, di assicurare la più inflessibile autonomia e imparzialità. Un compito ancor più impegnativo è quello di dare alle istituzioni messinesi norme, regole e strutture garantiste serie. Dell’efficienza di quelle attuali è lecito dubitare, se sospensioni ed espulsioni sono sempre state assunte tutte ex post rispetto alle iniziative della magistratura.

Insomma, c’è un problema di democrazia interna. Senza dialettica politica la vita di un partito ristagna. Si crea, non l’unità ma l’unanimismo fittizio, conformista, talora cortigiano. Sulle rovine delle vecchie e screditate amicizie di un tempo proliferano nuove confraternite feudali. Apolitiche e rissose.

Anche le leadership più geniali sono inaridite dalla perdita di contatto con la critica. C’è, infine, un problema che sta alla radice della ‘questione morale’: un problema di identità. Ma dove si nasconde il Sistema lobbistico affaristico che saccheggia la città, quanti sono, chi sono i prepotenti signori del cemento? Non siamo noi a saperlo e poterlo dire, ma sono certamente numerosi e si annidano, forse ben mimetizzati, nel nostro contesto sociale godendo di un’impunità che è essa stessa uno scandalo. Un pericolo permanente per una città “costretta a vivere con chi ha fatto del sopruso la regola della propria vita“. La società civile dello Stretto può accettare passivamente l’aggressione? Certamente no. Questa riflessione è un invito a non piegarsi, a non pagare il pizzo o le tangenti alla politica affaristica del Dio mattone!